Alcune domande (con risposta) su università, giovani e democrazia

Una lunga lettera di Roberto Roversi e la replica di Renato Zangheri

 

Lo scrittore Roberto Roversi ci ha inviato una lunga lettera a proposito di un articolo del compagno Renato Zangheri, sindaco di Bologna  ̶ pubblicato sull’«Unità» nelle scorse settimane – che affrontava i problemi dell’università e dei giovani anche in riferimento ai fatti di Bologna dell’11 marzo. A Roversi risponde lo stesso Zangheri.

 

Egregio Direttore,

sull’«Unità» di domenica 3 aprile, Renato Zangheri ha scritto come sindaco di Bologna e come militante comunista un articolo molto importante. Per contribuire in qualche modo, con onestà, al dibattito che è in corso, chiederei che sui quattro giorni della mia città fosse ascoltata anche la campana del sottoscritto, semplice cittadino, indipendente; che in passato e anche il 20 giugno ha votato per il pci; che votò a suo tempo proprio per Zangheri (di cui ha stima vera); ma che oggi si sente insoddisfatto delle analisi compiute all’interno di quei fatti. E dunque si sente insoddisfatto anche dello scritto di Zangheri.

Entro in merito. Non mi sembra che quelle quattro giornate siano state rintuzzate e vinte; mi sembra invece che il tentativo eversivo di criminalizzare Bologna, avviato altre volte in passato e senza un risultato per la reazione pronta, decisa, unitaria della città, questa volta abbia in qualche modo prevalso; e che la città sia uscita dalla prova con le ossa rotte. Ci vorrà tempo, ci vorranno opere, ci vorranno attente e precise parole per ricucire; soprattutto occorrerà una chiarezza di fondo che non mi sembra ancora di cogliere.

In che senso intendo «con le ossa rotte»? L’intendo così: per avere subìto il ricatto eversivo senza una reazione lucida e immediata paragonabile alle altre volte, quando occorreva; per tiepidezza di guida politica e di riferimento ideologico; per non aver potuto identificare subito il Comune come il centro a cui rivolgersi per capire; per non aver ricevuto in merito informazioni chiare ed immediate; al contrario, per avere vissuto di voci, di notizie verbali porta a porta e per aver dovuto attingere queste informazioni dalla stampa borghese o da alcune radio alternative (stante che la politica della «comunicazione» del partito non ha ancora messo in atto a Bologna alcun strumento immediato che non sia quello ufficiale dell’«Unità»; ed è arretrante e non corretto, a mio parere, mitizzare Radio Alice come il mostro della favola, mentre è un centro di distribuzione della comunicazione che ha subìto, per le generali, una detestabile sopraffazione. Siamo tutti convinti, è vero, che gli errori si debbono contestare uno ad uno; ma in pubblico, non costringendo al silenzio col coltello alla gola). Una presenza politica a cui riferirsi senza intermediari, la quale aiutasse a precisare e a spiegare con chiarezza e giustizia, quanto più possibile, avrebbe evitato la frana che c’è stata. (Questa latitanza, a mio parere, è conseguenza di una scelta politica a livello nazionale che dovrebbe essere tutta riconsiderata. Ci si è defilati affidando la città esclusivamente alle forze dell’ordine per confermare la proposta di una propria disponibilità governativa e per ribadire in pubblico un intransigente legalitarismo che sostenesse la proposta. Anche se le migliaia di uomini armati, a cui si affidava l’opera pratica di ricondurre in città l’ordine dilacerato, avevano messo Bologna in uno stato d’assedio, presentandosi con una rapidità di intervento e di manovra tali da far pensare a preveggenza. E loro avevano innescato il fuoco con un assassinio a freddo). Bologna, a mio parere, aveva l’obbligo di assumere in proprio il primo morto giovane caduto sulle sue strade e non doveva (né poteva) rassegnarsi a emarginarlo rifiutandosi di dargli il proprio nome e di coprirlo con un pezzo di bandiera. Credo che questo sia da ripetere con disperazione nella mente, per un’occasione mancata. Chi non ha veduto la città nelle quattro sere, dentro al suo centro storico che pareva fatto solo di pietre morte e coperta dal fiato di quattromila uomini armati, non può immaginare il peso della delusione.

Cosa mi sarei aspettato io, cittadino bolognese? Prima di tutto che la manifestazione unitaria, svoltasi a fatti compiuti, si organizzasse il giorno stesso dell’eccidio, per coinvolgere (come si chiedeva) il movimento degli studenti in un’azione che desse un pronto significato politico alla rabbia giusta e all’autentico dolore di questi giovani troppo spesso insultati dalla retorica ufficiale. Tale incontro, oltre a ricucire i contenuti politici, avrebbe servito a isolare i pochi esagitati irrazionali e i molti provocatori di professione che si stavano infiltrando nelle strade in quelle ore di orgasmo. Come secondo atto, lo voglio ripetere, mi aspettavo che il giovane ucciso fosse raccolto dalla città tutta intera.

Poi mi aspettavo che il Comune si dichiarasse di tutti dentro a una vigile libertà sforzandosi subito non come intermediario ma come promotore a suggerire la comprensione dei problemi e dei fatti; e che ancora una volta in questo modo si proponesse come il riferimento unico e vero di tutta la popolazione onesta, in un momento amaro. Mi aspettavo anche che piazza Maggiore fosse e restasse illuminata a giorno, per chiamare, suggerire, parlare, e non lasciata spenta, viscida, fredda, orribile. Mi aspettavo che la città proprio lì, celebrasse subito e ancora una volta il suo grande rito politico di ritrovare la voce per continuare a parlare e a capire, mentre il fuoco era in atto. Sicché ci fosse ancora una volta la conferma che liberi cittadini di una libera città non delegavano a nessuno l’impegno dell’ordine libero e sapevano come sempre muoversi e agire dentro ai propri errori, al proprio dolore e alla durezza degli atti. Senza opporre violenza a violenza, ma solo la forza di una pronta e militante convinzione unitaria (dura, decisa e di massa) ai fucili spianati e allo svolgersi della trama eversiva.

Avrei voluto anche sentire subito qualche affermazione di autocritica ufficiale rivolta agli studenti, che sono spesso meno avventati di quanto la prosopopea ufficiale sostenga per un ovvio tornaconto. Un’autocritica del seguente tenore: la città di Bologna non vive per gli studenti, benché ne accolga sessantamila; e neppure vive con gli studenti, benché ne accolga sessantamila; ma vive sopra gli studenti, cioè sui sessantamila studenti; in questo, con vergogna, come una città terziaria. E perciò se c’è rabbia è una rabbia da distribuire; e se ci sono errori, questi errori sono di tutti. Così dicendo, anche i tanti concittadini benpensanti (e a ogni livello) invece di discettare con un perbenismo viscido su scarsa o buona voglia di studiare avrebbero dovuto guardarsi allo specchio (magari raccattando un pezzo di vetrina spaccata) e interrogarsi. È mancata una voce che parlasse, e che spiegasse, in quella direzione.

Avrei naturalmente biasimato la violenza contro le povere vetrine (perché la violenza è sempre ignobile e da tempo non è più rivoluzionaria ma è solo oggetto e metodo di chi ha il potere di farla opprimendo e uccidendo), ma avrei indicato subito quale terribile violenza (ufficiale) veniva messa in atto contro la città e contro tutte le istituzioni della libertà, partendo dal sangue di un giovane generoso, passando attraverso i cristalli rotti e legandosi a un piano di sovversione che dura da interminabili diciassette anni e che ha fatto l’Italia un Paese unico al mondo. Io avrei voluto sentire che Bologna era ancora una volta forte, in un momento di dura necessità. Non una città spaventata, inquieta, incerta, delegante. Dopo cento anni, e per una volta, ancora carogna. Avrei voluto che aprisse tutte le sue porte invece di chiuderle in fretta per assicurarsi e intanarsi. La ringrazio. E mi sottoscrivo.

Roberto Roversi

 

 

La risposta di Renato Zangheri

 

Nella lettera di Roversi trovo una singolare mancanza di riferimento ai fatti, accanto a ansie e preoccupazioni che non si possono non apprezzare. Vorrei rivolgere a mia volta a Roversi alcune domande (forse brutali, ma l’amicizia e il momento lo richiedono):

1) sa che nelle assemblee dei cosiddetti autonomi era proibito a studenti comunisti e appartenenti ad altri movimenti democratici di parlare? E che si tenta ancora, in qualche caso, di impedirlo? Per quante ragioni di protesta abbiano gli studenti, e sono moltissime, si può giustificare il fatto che una minoranza, il 5%, poco più poco meno, paralizzi l’attività didattica e politica di alcune facoltà?

2) sa che venerdì 11 marzo il corteo proveniente dall’Università scandiva lo slogan infame: «La Giunta è rossa del sangue di Francesco?».

3) sa che sabato 12 marzo sono stati svaligiati una ferramenta ed un’armeria e centinaia di armi circolavano in città?

4) non ritiene che in queste condizioni quella che egli chiama la «città» abbia dato prova di notevole fermezza e senso di responsabilità evitando di intervenire direttamente per disarmare gli scalmanati? O essi debbono avere licenza di ingiuriare, minacciare, e peggio?

5) non pensa che la causa del rinnovamento della scuola e della società venga danneggiata gravemente dai disordini, e che proprio a questo mirino gli ispiratori della strategia dell’eversione, che si sta sviluppando nel Paese?

Tralascio gli argomenti economici. Tutti sanno che Bologna non vive sugli studenti. I prezzi esosi degli affittacamere si ripercuotono sul livello generale dei prezzi, e ricadono anche sui bolognesi. L’edilizia popolare è ferma, o quasi, perché mancano i finanziamenti della legge 865. Non sarebbe più produttivo lottare per la casa e per l’equo canone anziché inneggiare al caos? Perché addossare a una città colpe, leggi, omissioni, che risalgono ai governi e alle classi dominanti? Il problema non è, ancora una volta, di cambiare gli indirizzi politici ed economici nazionali? Anche noi abbiamo commesso i nostri errori. Ne abbiamo parlato pubblicamente. È possibile che Roversi non abbia sentito? Ed è davvero possibile che giudichi trascurabile il fatto che una moltitudine sterminata di bolognesi ed emiliani si è riversata il 16 marzo nel centro di Bologna, e con essa era la grande maggioranza dei giovani, per chiedere rispetto dell’ordine democratico? Detto questo, penso che ci si debba sforzare di guardare avanti, discutendo e confrontando le opinioni. Nessuno ha la verità in tasca. Ecco quali sono, in breve, le questioni da porre, mi sembra, e le nostre idee. Saremo lieti se Roversi ed altri amici esprimeranno i loro pareri, le loro critiche e proposte. L’Università deve essere profondamente riformata; la riforma non può immaginarsi al di fuori di una trasformazione del modo di produrre, del tipo di sviluppo, dei ruoli sociali. C’è da capire quale debba essere la funzione dei giovani diplomati e laureati, e più in generale quale debba essere il rapporto tra lavoro manuale e intellettuale. C’è da combattere contro un vecchio sistema di potere e contro vecchi valori, che non sono più tali, se mai lo sono stati: del guadagno, dell’egoismo, della concorrenza che diventa sopraffazione. E contro questi falsi idoli del capitalismo debbono levarsi i nuovi valori della classe operaia e del popolo: della solidarietà, dell’uguaglianza fra donne e uomini, fra lavoratori della città e della campagna. Vi sono problemi pratici e di cultura. Si possono affrontare sul terreno democratico? Noi pensiamo che su ogni altro terreno lo scontro sarebbe perdente, per i giovani e per tutto il Paese. Bologna ha scelto il terreno della democrazia, dalla Liberazione ad oggi, l’ha difeso e consolidato con lotte che hanno richiesto tenacia e sacrifici, senza deleghe, ma anche senza contrapposizioni estremistiche allo Stato, che è uno Stato inquinato e da rinnovare, ma pur sempre segnato dalla Resistenza e dalle battaglie democratiche di questo trentennio, e in parti di esso i lavoratori hanno conquistato una posizione dirigente, dalle assemblee locali al Parlamento. Restiamo dunque su questo terreno, aperti, ripeto, a tutte le critiche, alle sollecitazioni più audaci. Chiusi solo, questo sì, alla violenza e alla prepotenza.

Renato Zangheri

 

 

l’Unità, 20 aprile 1977

 

Informazioni aggiuntive

  • Tipologia di testo: articoli su quotidiani, settimanali e mensili
  • Testata: l’Unità
  • Anno di pubblicazione: 20 aprile 1977
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