Enzo re [Tempo vene ki sale e ki discende]
Roberto Roversi
Enzo re
[Tempo vene ki sale e ki discende]
Adattamento del testo a cura di Arnaldo Picchi
per le rappresentazioni in piazza S. Stefano
a Bologna, giugno 1998
Bologna, Edizioni Pendragon, 1999
***
I. Piazza S. Stefano a Bologna. Presentazione di alcuni personaggi
Platea (o anche piccola gradinata) a sinistra della chiesa, a seguire la pendenza a conchiglia della piazza in modo che il portico destro sia fondale dell’azione. Osservando dunque da questa platea, semincastrata nell’arco grande c’è la taverna, con il suo pergolato/tettoia che sporge in fuori e scale che portano alla sala-prigione di Enzo. Sempre qui, all’estremità sinistra ma già sulla piazza, si trova una specie di scanno-scrittoio per Salimbene, davanti a un passaggio protetto da una tenda da sole rosso-bolognese. Accanto al cancello carraio del giardino c’è la grande piattaforma di Federico (con un fronte ottagonale a due livelli e varie scale d’accesso), con un braciere davanti.
Lo spazio agibile va quindi dal portale della chiesa a un po’ dopo l’imbocco di via de’ Pepoli (40-45 metri). In questo spazio, a formare un rombo, sono collocate le quattro croci di trebbio di Bologna.
Suono di pioggia e percussioni. L’azione si apre su alcuni uomini con sbrindellati cappotti militari che si scaldano al fuoco di un bidone di ferro. Davanti a loro entrano da Pepoli Enzo2 e Marino da Eboli con soprabiti neri comparendo nel taglio del controluce. Insieme e dall’altra parte, dal giardino vengono alcuni notabili in abito da sera, con donne provocanti. Ridono, forse sono un po’ ubriachi. Lontano e per un istante si sente un pianoforte; poi solo percussioni e pioggia. EFFETTO IN MULTIVISIONE 1: enormi volti di prelati e di maestri compaiono sotto le arcate della loggia a spiare questa scena.
Arcivescovo di Bologna
Io sono l’arcivescovo di Bologna
Bologna è questa
case case case
mura mura mura
torri torri torri.
Sono trecento le torri
piantate su Bologna.
Un chierico [Frate Bernardo]
Ogni torre è anche un pugnale
mentre la città cresce e s’arroventa.
Arcivescovo di Bologna
È anche un pugnale mentre la città cresce.
Cresce, si arroventa.
Il cardinal Legato Ubaldini
Sono il cardinal legato Ubaldini
con una autorità che mi è data da papa Innocenzo;
qua, con l’arcivescovo, il clero, il popolo di Bologna
anch’io aspetto che…
Il podestà di Bologna
Io Filippo Ugoni bresciano,
sono il podestà di Bologna in quest’anno
che è il 1249
con tutti gli altri sono in attesa di…
Enzo re [Enzo2]
Eccomi, io Enzo re
in questo giorno che non è certo di
molta fortuna e mentre arrivo
La battuta 20-22 porta con sé un crescendo di bisbigli femminili che pare avvolgere Enzo, ora nella piazza tra i notabili e gli uomini intorno al fuoco – forse vagabondi. Uno di loro alza un tizzone e cerca di vedere nel buio intorno a sé. I notabili per un momento restano interdetti; poi escono fingendo allegria dalla sinistra della taverna.
II. In mezzo alla piazza
Continua la pioggia-percussioni. Ecco Bernardo de’ Rossi. Gli altri con lui intorno al fuoco, visti in un primo momento come vagabondi, o tossici (uno di loro è una donna porta-luce), appena sono pronunciati i nomi di Manfredi Lanza e di Ezzelino sguainano le spade e si mostrano come Cavalieri. La donna che è con loro si sposta fino alla taverna e la illumina. Vi compaiono così varie figure (donne, avventori, l’ostessa ecc.). In un luogo appartato, anche fra’ Salimbene. Enzo e Marino osservano la scena senza muoversi.
Bernardo de’ Rossi
Io io io
Bernardo de’ Rossi di Parma
fuoriuscito a Piacenza, e non sono un uomo da poco,
cavalco con settanta compagni verso il Taro.
Lì mi fermo un momento intorno a un fuoco e vi dirò forse le mie ragioni.
Intanto cavalco, la notte è fonda in quest’anno del millenovecento…
Mi fermo sulla riva del fiume con i settanta compagni.
C’è dunque Enzo re
– e che egli sia un bastardo in ogni senso è un’ipotesi da
non sottovaluta/re dato che non possiamo declassare i re
valutandoli di prima o seconda scelta/ come carne di bue
bensì per quel che sono, vale a dire per il loro essere/
re, solo aspetto valido e identificabile nella faccenda –
c’è dunque questo re
il quale è un re giovane
anche un re bello con i capelli di stoppa
eppure sul serio è peggio del Po quando gela
questo re e il suo amico Manfredi Lanza
questo re e il suo amico Ezzelino,
tutti e tre insieme messi in un mazzo.
Aggiungere i baroni tedeschi che accompagnano il re
sempre con la spada in mano.
III-IV. Dentro Parma
I compagni di Bernardo de’ Rossi si dispongono spade alla mano “nel cerchio degli angoli bui” mentre Bernardo resta solo e immobile accanto al fuoco. Davanti a lui, dalla bocca della piazza, vengono ora Arrigo Testa e Diadricco, conversando; alle spalle ha invece la taverna (o anche “La casa delle donne”), dove si svolgono azioni distaccate da tutto, come in un altro tempo.
Arrigo Testa podestà di Parma
Io Arrigo Testa, podestà di Parma.
Parma ha esiliato i ribelli ed è fedele all’imperatore.
Dentro alla città di Parma
oggi è festa, c’è festa all’interno di molte case e piazze,
se festa si può chiamare, c’è grande festa intorno.
La città è abbastanza ordinata
di conseguenza questa è un’ordinata allegria
poiché non c’è alcun grave impegno da prendere in esame
nient’altro che non sia questa festa-allegria
perché oggi Bartolo Tavernieri
sposa la figlia e
Nel rumore della pioggia forte grida di donne, suono di scontri di armati e allarmi. Attorno a Bernardo de’ Rossi i suoi compagni osservano fermi, con le spade intorno a sé in tutte le direzioni. Arriva di corsa un cavaliere tedesco.
Una voce
All’armi alle armi
un fuoco, il nemico
Un’altra voce
Diavoli a cavallo corrono gridano uccidono
Arrigo Testa
Cinque squadre di soldati intorno al
palazzo del comune,
altre squadre alle porte. Attenti al fuoco.
Resisteremo fino a che sia avvertito il re.
Diadricco di Magonza amico di Enzo re
Avvertirò volando col cavallo
Enzo a Cremona.
Via Diadricco. Svaniscono le grida. Una piccola sospensione. Questo punto è marcato con l’ingresso nella colonna di un nuovo suono, un rumore metallico, di ventola arrugginita. Qui: alla taverna una coppia si mette a ballare furtivamente – intanto entrano Enzo e Marino da Eboli. Ma il suono serve anche perché Arrigo Testa possa riprendere, spinto davanti a Bernardo de’ Rossi con gli altri prigionieri di Parma. Luci solo su di lui e sulla coppia che balla. Tutte le azioni procedono insieme.
Arrigo Testa
Mezza Parma brucia
il popolo è indifferente
solo i cavalieri si battono
contro un nemico potente.
Bartolo Tavernieri [con le mani legate]
Non si può lasciare questa giornata
senza una vendetta conseguente.
Un matrimonio lasciato a metà è un segno sfortunato,
c’è mezza festa buttata
e poi domani non si sa che cosa potrà capitare.
Noi combattiamo mentre aspettiamo l’arrivo del re.
Bernardo de’ Rossi
La giornata è definitivamente nostra
questa giornata preparata col fiele dentro al tempo.
Uno dei compagni di Bernardo de’ Rossi
Qua c’era la mia casa e adesso solo pietre
laggiù c’era la tua
adesso coltivano un orto.
Hanno distrutto tutto e smantellato.
Un altro compagno di Bernardo de’ Rossi
Il popolo ci guarda appena non si scuote
è indifferente
su su muovetevi, gridavo, aiutateci
a buttare fuori di casa i ghibellini
come cani.
Si preoccupavano soltanto del fuoco
altrimenti serravano le finestre.
Arrigo Testa
Soltanto la giornata è perduta
domani ci sarà la spada del re
cortesia condannata e vendetta sicura
vita e morte come pietra dura.
Una lama che taglia
aprendosi fino al cuore.
Bernardo de’ Rossi schiaffeggia Arrigo Testa, tenuto fermo da un altro. Interviene Bartolo; intanto alla taverna il ballo si chiude con un lungo bacio; entra il Cantastorie, passando dalla tenda di fondo – una tenda disegnata a spighe di grano.
Bartolo Tavernieri
Mentre aspettiamo l’arrivo del re
poiché siamo stati sorpresi e beffati
anche per una imprevidenza
è necessario cautelarsi, stare nascosti
finché nella pianura fra la nebbia
non escano le picche del re.
Via i cavalieri di Bernardo de’ Rossi e i loro prigionieri verso Isolani. Bernardo resta da solo, tra le colonne del portico, all’imbocco dei Pepoli; fermo; al buio. Sta attento.
Si esaurisce la colonna sonora: alla taverna il ballo finisce con un bacio; lasciato il suo compagno la donna offre da bere a Marino credendolo Enzo. Enzo ride. Per un istante Salimbene (che era là) osserva la scena (ed Enzo osserva lui), poi va al suo stallo accompagnato dalla porta-luce di Bernardo de’ Rossi; ora la ragazza gli apre davanti il libro e gli resta accanto come l’angelo con S. Matteo.
V. A partire dal sagrato
Cambio luce in 0” sullo spazio vuoto e punteggiato da alcune fiamme vive (al luogo dei barboni-cavalieri; alla piattaforma di Federico; alla taverna; davanti a Salimbene): al portale della chiesa appare all’improvviso Enzo1; porta gambali con molte fibbie. Su di lui luce quasi verticale; alle sue spalle e di fianco si intravedono le sagome di alcuni soldati, del suo barone-giullare (una donna), poi la Carestiamorte (Dulle-Griet, lacera e con un cesto sulla schiena). Comincia la 1.a Canzone del cantastorie.
Enzo re [Enzo1]
Io sono Enzo, re Enzo, Hentius, Falconetto,
re di Sardegna,
con i baroni tedeschi e i miei cari cremonesi
corro verso Parma perduta.
Cantastorie: Prima canzone
Re Enzo Falconetto sverna sempre a Cremona
passa l’inverno nel letto
di qualche giovane donna,
passa primavera e l’estate
ad ammazzare bruciare
a squartare impiccare;
con lui i baroni tedeschi
hanno capelli di grano.
Sta a Cremona con tutti i soldati
cavalli cavalieri
con le picche bandiere cimieri
sopra le prime mura;
ma quando marzo scalda la mano
Falconetto si butta sul piano sgelato
comincia la decima vicino lontano
e nessuno si può rifiutare.
Zac! Enzo è il fiume che trabocca
zac! è la terra selvaggia
è il pane senza bocca
è acqua senza pesce
è uno storione seccato
è il fienile avvampato
è un bruco nella polpa del melo
è melica con la fattura
è scarsa aratura
è il pianto di doglie della moglie
grandine tempesta
è maledizione di cielo.
Che anche lui possa bruciare
dentro l’inferno precipitare
fino all’ultimo anello.
Durante la canzone la Carestiamorte – con mezza faccia rossa – entra nella taverna e la percorre per i vari spazi – e così facendo la vuota; cerca Salimbene; infine lo raggiunge e gli resta dietro in uno spacco della luce; gli bisbiglia il testo che deve scrivere. Salimbene lo ripete con calma voce di vecchio, e trascrive. Di lato in penombra il suo angelo porta-luce, come rabbrividito. Luci solo sulla Carestiamorte, su Salimbene e su Enzo1. Nella taverna quasi buia sono rimasti il Cantastorie e la 1.a donna; poi Enzo2 e Marino – ora entrambi in camicia. Distante, fuori, Bernardo de’ Rossi.
Voce di un soldato [di Enzo1]
Il fiume il fiume.
Salimbene de Adam
Il fiume il fiume è il fiume Taro.
Ieri notte c’era accampato vicino Bernardo de’ Rossi con i compagni
adesso ci piega le insegne e aspetta
Enzo re.
Sono Salimbene de Adam e scrivo la storia di questi giorni
che sono anni. Fra neve e sole. Il re dovrebbe attaccare,
sù attacca re, il re non dovrebbe aspettare
ghibellini e baroni tedeschi si sono ritirati da Parma
perché sembrava che oltre duemila fanti e cavalieri fossero entrati in città.
Invece voi stessi avete contato
solo settanta cavalli e settanta cavalieri
insieme a Bernardo de’ Rossi.
Il vino, la festa, una paura improvvisa
hanno vinto questa battaglia
e la forza di Parma è stata buttata all’aria come paglia.
Diadricco di Magonza [a Enzo1, arrivando di furia]
Subito attaccare
non lasciare che la notte passi mentre aspettiamo
la città in parte dorme
e i nemici non raggiungono i mille.
Salimbene de Adam
Il barone tedesco non sbaglia
fermarsi al Taro in questo momento è un errore madornale
nessuno può pensare che il furore non si spenga nel sonno
o nel riposo notturno
o anche soltanto contando le stelle o i botti di una rana nel fosso.
Forse il re è indeciso perché è male informato. Dunque
Enzo re [Enzo1]
Io Enzo re non sogno non dormo non indugio
dato che un re non dorme mai in battaglia
ma devo aspettare l’arrivo di mio padre
Federico imperatore
con tutte le sue lance e i cavalieri.
Salimbene de Adam
Una giornata cattiva
può diventare per sempre una battaglia perduta e una brutta storia.
Dentro a Parma come gatti in amore
solo in cento sono quelli che hanno spada e valore.
Il popolo non ci bada
non vuole più niente.
Molto distante arriva l’inquietante strepito e la musica della marcia di Federico imperatore. A questo suono esce il Cantastorie.
VI-VIII. Alla grande piattaforma e ‘davanti a Parma’
Mentre si fa appena un poco più presente (ma non crescerà mai) il suono della marcia, si raduna la corte itinerante di Federico, come ‘venendo da ogni luogo della mente’ (EFFETTO IN MULTIVISIONE 2: una moltiplicazione di ombre contro la facciata delle case accompagna questa entrata). Quattro cavalieri passano per la taverna e abbracciano e baciano Enzo2; ma vi tornano anche le donne e gli abituali avventori – quelli che abitano solo qui.
Intanto, mentre tutto è in movimento, è disposta la tavola imperiale, con un baldacchino e un seggiolone coperto da un velum verde. Federico è tra gli ultimi a comparire: è abbastanza giovane, a testa scoperta, vestito di nero; ha movimenti nervosi; ha fretta; porta i guanti. Enzo1 e i suoi compagni si riuniscono a questo gruppo – lui fermo un po’ discosto davanti al padre, ma il padre non lo riconosce.
Alla taverna l’ostessa offre una coppa a Enzo2 – insieme e uguale: due donne si inginocchiano e la tendono all’imperatore. In piedi accanto a Federico c’è una donna con un abito verde; in luce sono però solo le sue mani posate sul tavolo; la tovaglia è color terra; è lei che beve per prima. Luci forti solo su queste due scene simultanee. Per tutto questo tempo e mentre i baroni sulle varie rampe scrutavano nel buio a spade sguainate, tre uomini incatenati che erano nel corteo sono rimasti immobili ai piedi della piattaforma.
Infine Federico vede Enzo1 e lo fa arrivare sino a sé; e soltanto ora – e quasi per un regalo a questo suo figlio – edifica Vittoria (rr. 224-238). Di questo regalo Enzo2 non perde un gesto o una sillaba.
Federico imperatore [accettando la coppa]
Pronto e in piedi, con la
mia corte itinerante,
io sono Federico imperatore
mi accampo qua davanti a Parma
un tiro d’arco ci separa dalle sue porte,
dentro alla pianura è la città di Parma
adesso come una scodella di tuorli è zeppa di fanti bolognesi
e piacentini.
Salimbene de Adam
Se perde Parma per sempre
Federico perde per sempre l’occhio di sole
che lo guida in Germania,
il cuore per i suoi viaggi e per il traffico
fra Sicilia Germania Toscana Lombardia.
Come un monco o un orbato.
Aggiungere in seconda istanza:
quando la bella città di Parma
era la perla dell’imperatore
essa fronteggiava le due città guelfe
di Piacenza e Bologna. Adesso Modena è esposta
cervo nella pianura
alle minacce della potente Bologna.
Federico imperatore [incontra e abbraccia Enzo1]
Io sono Federico e non attacco subito
spinto dall’odio che qualche volta è un merito
o dall’affanno, che è troppo giovane.
Prima costruisco
dal fiume a quel segno nella pianura
laggiù in fondo, dove si vede un avvallamento
e un conseguente gruppo di alberi e macchie,
laggiù proprio nel punto dove l’ombra cade fra l’erba
voglio costruire una città
tutta nuova e lì ci voglio passare dentro le ore
per godermi da vicino l’agonia di Parma.
Voglio alzare una grande città di legno
[+Enzo2] tutta odorosa di legno e foglie
perché possa crescere in fretta
il suo nome è Vittoria.
EFFETTO IN MULTIVISIONE 3 contro la facciata di S. Stefano: la città di Vittoria.
Salimbene de Adam
La città di Vittoria
la bella città di Vittoria
ha un odore di legno appena tagliato e di albero segato
città di cento giardini
e Federico ci sta a corte.
Dentro c’è il suo serraglio
di ghepardi zebre cammelli astori scimmie
e i suoi cavalli berberi,
uccelli strani uccelli splendidi uccelli
che partono dal suo braccio e trivellano il cielo,
uccelli che muoiono cantando
e poi i suoi falchi che uccidono nel sole le colombe.
Bernardo de’ Rossi [venendo un poco avanti, solo]
Io Bernardo de’ Rossi
senza molta pace nonostante la vittoria dentro Parma
ho paura di dovere perdere ancora una volta
questa pace e questo momentaneo riposo
mentre guardo tutte le bandiere di Vittoria
guardo i fuochi e ascolto i canti e le voci di Federico.
Alla taverna non c’è alcuna reazione; tutto continua con indifferenza. Improvvisamente una donna si rivolge con rimprovero, con asprezza a Bernardo de’ Rossi, seminascosto sotto la loggia. È la 3.a Canzone – ma senza suono. Sulla piattaforma intanto si preparano per le esecuzioni capitali: il Coro delle donne fa indossare a Federico il manto di porpora; gli porgono la spada. Si muovono altre figure: Pier delle Vigne, con una veste rossa, il Barone/giullare dell’imperatore; più giù gli altri baroni; ai piedi del palco, gli incatenati sono avviati a morire.
Donna-Terza canzone
Opposizione a opposizione
astuzia contro ragione
l’occhio sinistro è fiamma
il destro è nella storia;
discendente ascendente:
questo è un diagramma
autentico e senza gloria.
Quando la città di legno cresceva
con i chiodi e i rami
puntellati dentro la pianura,
Federico prometteva ai soldati
una rapida vittoria
e intanto mandava in Lombardia
gli elefanti e i ghepardi sulle mura.
La gola è rotta e non può cantare.
Un vento sfrenato il ghiaccio calpesta.
Federico sulla neve ogni mattina
fa cadere una testa.
Questa scena non è complementare:
volano teste di Parmigiani
e teste di Piacentini nella cesta.
Il sangue dappertutto è grumo nero.
Nessuno si dà pensiero
di raccogliere i corpi lasciati per terra.
Federico addestra i falchi a colpire
gli occhi dei nemici
scendendo veloci
davanti alle mura di Parma.
Alla fine del banchetto
ogni osso è ripulito.
Intorno c’è un bosco di rifiuti
in cui la lepre corre.
Voci preghiere restano nell’orecchio.
E la bandiera dell’imperatore
si scuote sulla torre.
Federico imperatore
Io sono Federico imperatore, ogni mattina
arrivo sulla ghiara del Taro
che è un bel fiume pieno di fresca acqua
in questo momento dell’anno
e la ghiara è bianca bianca grossa come uova di cicogne
e intanto…
Conclusa la vestizione imperiale, Enzo1 si rivolge ai prigionieri in catene, ora in luce in mezzo ai soldati su una bassa pedana-patibolo. Insieme, dall’altra parte dello spazio, al passaggio de’ Pepoli viene avanti frate Bernardo; e quando i cavalieri si inginocchiano per essere uccisi il frate, lontano, si butta in ginocchio per pregare.
Enzo re
Io Enzo re ordino che questi tre cavalieri
i quali diranno il nome
I tre cavalieri
Andrea di Terzo, sono cavaliere di Cremona
Corrado di Berceto e sono un chierico
Bonaventura Reggiani io sono bolognese
noi ci inginocchiamo sulla ghiara
un’ultima occhiata intorno
e diamo il collo al boia che ci mata
Un improvviso canto siciliano. Il Barone/Giullare di Federico li sgozza uno dopo l’altro con derisoria lentezza. Sviene la Corifea ed è sorretta dalle sue dame; comincia un movimento-trenodìa delle donne del coro, sempre più convulso – quasi cadendo per la lunga scalinata mentre, più lontano, frate Bernardo si abbandona con disperazione faccia contro la terra; tra i dignitari della corte imperiale viene ora indicato-scelto Gherardo del Canale; entra il Vecchio della Montagna, con un caffetano candido – da Pepoli va fino al braciere dei cavalieri di Bernardo de’ Rossi e là, aspettando, rimuove la cenere con un ferro; nella taverna ritorna il Cantastorie.
Enzo re
Io Enzo re per ordine di Federico
comando adesso che mi sia portato davanti
Gherardo del Canale di Parma
il quale non deve più andare in Sicilia per subire il processo
non deve andare a morire lontano
ma qua ha il processo e la morte
davanti alla città di Parma e sul ponte di
Caprazucca.
Noi tutti siamo attenti
ogni paglia è contata
così rileviamo che la torre di Gherardo a Parma
è sempre ritta e bionda
non cala non è arsa non si china,
dunque è tutelata come un tesoro
per un uomo d’onore.
Che quindi è traditore.
Federico imperatore
Sia buttato in acqua con
la mola asinaria a collo
sia affogato anche se è un amico
perché la sua torre in Parma butta ombra
bella dritta.
Gherardo del Canale
Chi muore con onore
senz’ombra davanti e di dietro che segni il tradimento
muore senza paura
muore senza stento.
Muoio in un posto che conosco bene
qua a Caprazucca
e la conosce bene Federico
quando veniva a caccia nella mia casa
di Fontanellato.
Gherardo è strangolato da un soldato e buttato via come gli altri giustiziati. Platealmente contrariato Pier delle Vigne lascia veloce la piattaforma dell’imperatore. Insieme e uguale: via dalla taverna Marino da Eboli – visibilmente in contrasto con Enzo2.
Due voci [di donne fuori dalla taverna, appena visibili nella luce di una porta, mentre muore Gherardo del Canale]
L’imperatore usa l’astuzia non usa la forza
non vuole entrare a Parma solo con fuoco di lancia
ma spiana la strada col terrore della fame.
Fa la terra bruciata.
La carestia è un diavolo che maledice
la carestia apre le sue ali nere
e certamente in questo modo
noi a Parma non potremo resistere a lungo.
IX. Alla corte di Federico, poi al luogo dei cavalieri di Bernardo de’ Rossi
Enzo re [Enzo1]
C’è tempo di guerra e un tempo per l’amore
tempo per pescare e un altro tempo
che dicono il tempo per aggiustare le reti,
poiché tarda la bufera
[io Enzo re] voglio salire alla montagna del Gran Veglio
perché speculi il sole e l’ombra con le sue grandi mani
e mi veda il futuro con i suoi occhi antichi.
Enzo1 va al Vecchio della Montagna scortato per un certo tratto da due baroni con le spade in mano (il Coro delle donne lo osserva dai piedi della grande piattaforma). Durante la IV Canzone luci-flash nell’ordine su: 1) Enzo1 e il Veglio (dialogo non gradevole: il re ha gesti nervosi); 2) sui baroni di Enzo1 in attesa; 3) su Salimbene; 4) su Enzo2 e gente della taverna; 5) su Bernardo de’ Rossi; 6) su Federico; 7) sul Coro delle donne (vigile, terribile).
Cantastorie: Quarta canzone
Salgono alla montagna del gran Vecchio
che è alta in mezzo all’Asia
camminando per giorni dentro a un cerchio
d’ombra e a dorso di cammello.
Scotta la sabbia de deserto
è freddo il sasso dell’altopiano
è tiepido nel cavo della mano
il giallo vivo del grano.
La sabbia brucia negli occhi
quando al soffio di un uragano
anche la freccia scagliata dall’arco
contro il leopardo è trascinata lontano.
Ma se raggiunge la cima del monte
se cento avventure di sangue ha passato
con l’acqua che esplode azzurra nel fiume
il guerriero si bagna il petto, i capelli la fronte.
Lassù il gran Vecchio felice imponente
è seduto nel lume di antiche fontane
mentre rompono voci per tutti i giardini
egli invita a mescolarsi alla gente.
Il Vecchio vede i futuro e conosce storie lontane
raccoglie la morte da occhi che chiudono un fiore
e ai giovani bianchi e drogati su ripidi muri
allunga la spada affilata perché spacchino un cuore.
Il Vecchio è la morte è un destino è l’ora che passa
il Vecchio ancora sorprende giuocando il suo riso,
tutta la faccia del Vecchio è uno specchio di vita
la vita si rompe in un’onda sul viso del Vecchio.
Enzo fatica e raggiunge le cime del mondo
con pochi soldati ascolta il Vecchio parlare
gli occhi del Vecchio scavano la pelle del cuore
mentre dice in un mare di guerra dovrai naufragare.
Enzo re [Enzo1, tornando da Federico]
Io Enzo re riparto abbastanza incerto e inquieto.
Durante il ritorno, sorpresi da leoni e cinghiali, tre dei miei cinque cavalieri sono divorati.
Io Enzo re ritorno al campo e incontro Federico imperatore.
Mentre Enzo1 ritorna, il Vecchio della Montagna esce dal taglio dei Pepoli: un giovane vestito di bianco gli va incontro e gli porge un rotolo, che lui legge per via senza fermarsi. C’è come un abbozzo di alba, ma subito ringoiata da questa notte senza fine. Federico ed Enzo1 sono ora di fronte, chiusi nel coro delle donne, risalite sulla piattaforma con Enzo1; ora gli si serrano malevolmente intorno. La città di Vittoria sembra muoversi; mutano le sue forme. Ruota?
X-XII. Alla corte di Federico
Federico imperatore
Il mio falcone più bello è volato lontano
certamente per qualche maleficio,
è entrato a Bologna
non esce da Bologna
è appollaiato su una torre e ci vuole restare.
Dico che questo è un segnale che bisogna decifrare
perché c’è un ordine nelle cose.
Enzo re [Enzo1+Pier delle Vigne all’orecchio dell’imperatore]
Il popolo di Parma sembra indifferente
a questa guerra;
vuole non vuole poi nicchia.
Troppe parole troppe parole troppe parole.
Temono più che ammirare Bernardo
e ancora non l’hanno seguito in battaglia
aperta. Subiscono l’assedio
ma non odiano l’assedio.
Rimasti in pochi con i soci bolognesi
cadranno quando vorremo.
Dentro a un cesto.
Fecola da mangiare.
In un movimento generale si muovono ora tutti i personaggi – per primi gli imperiali, poi gli altri, i popolani, uomini e donne, i cavalieri di Bernardo de’ Rossi ecc. (anche loro “come venendo da ogni luogo della mente”) – e si mescolano come un mazzo di carte da gioco. Intanto esce il Cantastorie. Nel buio tagliato a lame della taverna c’è ora solo Enzo2 con una silenziosa donna distante. Nella sua cella anche Salimbene è solo (anche la sua giovane porta-luce è uscita qui).
Federico Imperatore
Questa volta non assalterò subito
coi miei saraceni e con le macchine da guerra.
Voglio aspettare un poco per godermi
l’agonia di questa carogna giovane.
E intanto esco a caccia per la pianura
e voglio lanciare per aria i miei falconi
perché questa è una terra grassa;
una terra che appaga tutte le voglie di un re.
Salimbene
L’imperatore a caccia col falcone nella pianura.
EFFETTO IN MULTIVISIONE 4: un bosco verdissimo copre le facciate delle case; ogni cosa è dentro questo meraviglioso verde, con grandi e vivaci fiori spalancati. Danza dei falconieri e del Barone/giullare dell’imperatore. Anche Federico è dentro questa grande battuta di caccia o festa o abbozzo di battaglia; più distante – ma anche lui presente – Enzo1. Enzo2 lascia la taverna e come in sogno attraversa questo movimento generale sempre più veloce. Insieme e uguale: (ma molto più duramente determinato) anche Bernardo de’ Rossi vi passa dentro; dietro di lui si muove anche la Carestiamorte.
Bernardo de’ Rossi
[Io sono Bernardo de’ Rossi.] Una volta ero amico
a questo diavolo di Federico
nero di zolfo come un diavolo.
Ero compare a Federico, una volta;
oggi sono sotto la coda del suo cavallo
se non mi reggo con la spada.
Ma il popolo di Parma comincia a bollire come il vino nuovo
agitato da cento passioni e da mille promesse.
Il popolo vede, lì davanti, la città di Vittoria
che si può conquistare
con l’astuzia e con molta decisione;
sente le ricchezze di Vittoria
sotto i pollici della mano.
Così si lascia incantare
e si arma a battaglia.
Si prepara e ci segue.
Un cavaliere [di Federico; ultimo sulla piattaforma]
L’odore dei cani in questa sala accaldata
toglie il respiro. Al fuoco del camino
il legno di Vittoria frigge e si riscalda.
Oggi è un giorno di febbraio,
i giullari riposano o dormono vicino al fuoco.
Bernardo de’ Rossi [muovendosi veloce]
L’imperatore non è un imperatore diverso.
È solo più potente (ma è debole)
è solo più astuto (certo)
è solo più avaro (perfido)
e ha il cuore vuoto come un secchio grattato,
Egli può cantare guardando Parma,
con la sua rabbia dritta e gialla contro il muro.
Ma Federico è solo.
Carestiamorte
Adesso è anche lontano, è lontano nella pianura
coi suoi falchi e i baroni.
Bernardo de’ Rossi
Se i venti girano, stasera l’imperatore avrà una sorpresa
feroce
Circondate circondate.
Pronti in quella direzione.
Là i fanti.
Alle porte alle porte.
Il nemico si rompe.
La battaglia è una vera battaglia degli anni duecento,
tutti a testa bassa, la mazza che gira,
una tornatura di frecce nell’aria;
perché questa può essere anche l’ultima ora.
Eppure qualcosa abbiamo fatto.
Avanti, avanti.
EFFETTO IN MULTIVISIONE 5: il bosco pieno di cacciatori si annerisce e muta nel fuoco dell’incendio di Vittoria. Luce su Enzo1 e i suoi baroni spezzati per quello che vedono accadere. Durante la batt. di Enzo1, che ora segue, l’intreccio di movimenti comincia a sdipanarsi, le singole figure di nuovo a distinguersi. Soldati imperiali recuperano il corpo di ‘Ermanno di Salza’.
XIII-XV. Davanti a Vittoria
Enzo re [Enzo1]
E Federico è a caccia nella pianura!
Ahi! Vittoria brucia.
Sembra l’Etna nelle giornate di vento.
Vedo le insegne di Federico ballare nelle fiamme e
scomparire.
L’acqua del Taro è rossa, si copre di corpi e di cenere.
Il popolo di Parma non era indifferente,
noi oggi lo verifichiamo solo per mezzo dell’inganno e del
dolore,
a causa di informatori bastardi.
L’astuzia dei cavalieri di Parma
ha strisciato per terra.
Io guardo la città di legno che brucia;
Vittoria è polvere è cenere bianca.
I baroni tedeschi con le ferite in faccia
sono fermi e allineati sulla ghiara del fiume,
prigionieri di Parma.
Salimbene de Adam
Io sono Salimbene ed ero dentro Parma
quando l’attacco è stato deciso convincendo il popolo
ho visto gli occhi dei cavalieri accendersi di furore
mentre spronavano i cavalli contro le porte di Vittoria.
Rotavano la mazza.
Così Federico è stato urtato e rotto.
Mentre davanti alla taverna e nello spazio antistante tra le lanterne tenute alte dagli uomini si fa festa e si mercanteggia il tesoro di Federico, su una barella di lance è riportato all’imperatore ‘Ermanno di Salza’, bruciato nell’incendio di Vittoria. Uno dei cavalieri che sono stati decapitati apre il piccolo corteo con una luce in mano. Strato di luce all’altezza del selciato. Per potere ascoltare il suo amico Federico deve poggiare l’orecchio contro la sua bocca – ‘Ermanno’ gli stringe il braccio con la sua mano di ferro. Enzo2 è dentro questa scena. La voce dell’imperatore si districa attraverso il suono stridulo di molti violoncelli.
Federico imperatore
Sento le voci i pianti gli urli di Vittoria
mentre sono ancora lontano con i miei falconi.
Il cielo è stracciato dalle saette
in questo giorno di febbraio
e io non c’ero, per mia dannazione.
Io sono Federico e così ho perso l’occasione
di ribattere dente a dente, subito sul campo
[Vuoto]
Si vedono fuochi rossi
che salgono improvvisamente dalla terra
e rimbombi, un odore di battaglia,
ombre di morti in fuga, corpi che precipitano
Il rogo di Vittoria continua, pesante, in un’atmosfera nera. Federico per un tratto accompagna il trasporto di ‘Ermanno’ poi torna veloce sulla sua piattaforma – qui lo raggiunge Enzo1; è a lui che l’imperatore ora si rivolge.
Vittoria brucia,
le sue grandi porte si sono spalancate
al saccheggio del popolo di Parma.
La città si consuma piangendo;
non posso proseguire.
Mi vendicherò intanto con il terrore,
voglio asciugare il mio fuoco col sangue dei prigionieri.
Davanti alla taverna continua la festa dei popolani – per la vittoria e per il bottino. Ma anche con violenze, e con solitudini.
Voci [festanti e beffarde]
Anche il tesoro di Federico è nostro
il suo corredo in oro e guarda! tutte le pietre preziose
toh! veh! ah! la sua corona
guarda la corona che si mette in testa Federico
quando segna impone minaccia condanna
guarda se è bella grossa, se pesa, se è grande
sembra una pentola
in testa non ci sta
cade sul collo
copre testa naso di Federico.
Curto-passo [Gherardo del Canale]
Chi vuol vederla la veda
anche la tocchi strisciando però adagio
invece chi vuol provarla in testa o sul collo
mi dispiace ma deve pagare.
Mi è costata un giorno di battaglia.
Nella festa-mercato la gente si muove, si agita o corre in un perenne controluce: qui in mezzo Curto-Passo alza la corona imperiale. Insieme: alla taverna ricompare Marino da Eboli MENTRE il Barone/giullare di Enzo1, correndo leggerissimo e irregolare lungo il bordo degli spazi, trova sotto il pergolato Bernardo de’ Rossi, del tutto ignaro, e lo colpisce senza neppure fermarsi, appena toccandolo – e subito sparendo. Grande scroscio di percussioni-pioggia, ora con mazze e tamburi di metallo: inconsapevoli passanti soccorrono Bernardo morente e cercano di stenderlo o di tenerlo vivo o di capire ma non sanno di che si tratta. La Carestiamorte si stacca ora da questo gruppo. Insieme e uguale: il Coro delle donne risale alla piattaforma del trono ed esce dalla parte opposta.
Salimbene de Adam
Per le strade di Parma o fuori di Parma il popolo si mostra e si scambia la roba saccheggiata. I poveri in quel giorno si arricchiscono col bottino di un tal principe. Da ogni parte della regione e anche da più lontano, richiamati dalla notizia, arrivano i mercanti per comperare. Davanti alla città s’apre una fiera spettacolosa di compra e vendita dei tesori imperiali. In principio il giorno è lucido e freddo poi l’aria oscura e comincia a nevicare. Nascono discussioni sui prezzi. «Robaccia è, robaccia è» dicono e gridano i mercanti; nascono violenti contrasti ma si conclude sempre con un accordo.
A poco a poco questa scena si estingue. La gente se ne va: tutto è ora in questo generale andare via, ognuno per sé e quasi con diffidenza. Flash sulla Carestia-morte, con mezza faccia rossa, che attraversa in diagonale tutto lo spazio e sparisce.
Useppo Toschi e altri cavalieri bolognesi si sono riuniti nello spazio a sinistra della taverna; allo stesso modo Federico ed Enzo1 con i loro baroni sulla grande piattaforma: consigli di guerra.
XVI. Davanti alla taverna
Useppo Toschi [n.1; nn.2-4 altre voci]
3 – Federico preparerà la vendetta;
1 – Avete ascoltato il suo urlo di lupo, lontano?
Io che sono Useppo Toschi e sono di Bologna
ricordo altri urli
e altri fuochi violenti della mia giovinezza.
Ero giovane quando nel ’28 a Bologna
ero dentro alla sommossa contro i nobili.
2 – Una generazione è passata.
Sono più di vent’anni.
1 – Fin d’allora Bologna lottava contro Federico.
3 – Allora noi fummo battuti a San Secondo
per colpa del tradimento di Piumazzo.
1 – I nobili aprirono le porte del castello
senza un rumore senza un grido
di notte e al lume di una torcia.
2 – Il nemico entrò da invitato.
4 – Con la morte di tanti amici
la loro festa fu completa
Un cavaliere bolognese
Anch’io ricordo l’odio
negli occhi della gente.
Tu sembravi un ossesso del demonio
«il tradimento è dei nobili» urlavi.
Useppo Toschi
Un tradimento è un tradimento
Un cavaliere bolognese
E adesso la storia
la facciamo con le nostre mani,
impastandola come il pane.
EFFETTO IN MULTIVISIONE 6: l’intera piazza, facciate e selciato, si trasforma nella cella di Salimbene, con archi vuoti, scale e inferriate. Per un attimo si vedono Useppo Toschi e i suoi compagni lasciare questo spazio diventato improvvisamente blu e pieno di lanterne in movimento. Zone di luce per Salimbene che racconta, e per Enzo2 – che ricorda-ascolta con avidità. Inattesa e di nuovo in uno ‘spacco di luce’, ma distante-distratta, dietro di loro torna a mostrarsi la Carestiamorte. Enzo1 accompagnato dai suoi baroni attraversa il campo e arriva fino al bivacco dei ‘mendicanti’. C’è un’impalpabile nenia o ninna-nanna; come il fuoco in un camino o l’indistinto strascicare di piedi di una moltitudine. Federico, solo, si avvicina piano piano nel buio, fin quasi al leggio di Salimbene e a Enzo2.
XVII-XVIII. Nella cella di Salimbene
Un voce [Enzo2]
È prossimo l’ultimo scontro
è prossima la beffa triste dei Mantovani.
Salimbene de Adam
I mantovani andavano via per il fiume
a portare pane a Parma assediata da Federico
portavano armi a Parma e un poco di carne a Parma
e anche il conforto di voci e di qualche canto
a Parma che invece soffriva invece pativa.
Molto simile a una rosa decapitata
molto uguale a una rosa.
Tutto questo i mantovani lo portavano sul fiume
coperti di alberi e di canne.
Enzo re [Enzo2]
Io Enzo re pretendo (intendo e comando)
che popolo e soldati lavorando in fretta
costruiscano il nuovo ponte sul Taro
fra Parma e l’Enza.
Ci bado io che il ponte
cresca in fretta e sia solido
chiamo i modenesi e i ravennati in aiuto
questi perché hanno navi adatte a acque basse
questi perché i marinai sono anche abituati alle battaglie
e i modenesi
perché io Enzo re conosco i modenesi
questi modenesi che sono sempre in battaglia.
Altre voci [Diadricco e altri baroni tedeschi alla piattaforma]
I mantovani con le loro barche
dai culi bassi e larghi
salgono il fiume
avanzano gonfie come rane
zeppe fino all’orlo di armati
si preparano alla battaglia.
Salimbene de Adam
Pronti all’attacco, pronti dalla riva
attracca, lega, attenti a sbarcare.
Più a sinistra dove la terra è più dura.
Io sono Salimbene de Adam.
I mantovani cercano di sorprendere Enzo re
vogliono bruciare il ponte nuovo di Enzo
Enzo è lì all’agguato che li aspetta
una battaglia è subito impegnata
si consuma rapida come un fuoco di stecchi
tutti i mantovani morti affondano nell’acqua
i prigionieri Enzo li fa impiccare in fila
agli alberi del fiume
dondolano notte delle notti
bruciano dagli occhi
si straziano con le mani
per dieci chilometri di strada
la selva è d’impiccati.
Non c’è più la campagna.
Enzo re [Enzo1]
Non per pura malvagità
ma per giusta punizione
dato che non si serve il diritto
lasciandosi scavalcare.
Se c’è morte per tutti
in battaglia la vita è solo per gli amici
bisogna dunque distinguere una parte dall’altra
e il giorno dalla notte.
Questa conclusione compensa degli eccessi
e mortifica talvolta la debolezza.
Il sonno è un errore non un peccato.
Enzo2 torna alla taverna, al tavolo di Marino da Eboli; restano in silenzio, non si parlano. Più in disparte una donna; a un palo della pergola, Useppo Toschi. Di nuovo un inutile tentativo perché venga giorno; pure, è mattina; anche se con grande fatica e solo per un attimo.
Federico imperatore [a Enzo1, mentre torna verso la piattaforma]
Io non posso fermarmi,
devo risalire in fretta la pianura
e andare in Germania:
ma tu devi vendicarmi su Parma.
Parma si deve stringere adagio
lasciandola morire nella mano
come un cuore di pollo.
Tu qua non chiudere occhio.
Via dalla parte posteriore della piattaforma con Pier delle Vigne, e alcuni baroni. Alla taverna entra il Cantastorie.
Enzo re [Enzo2]
Io sono Enzo re e quando il leone è partito
quando Federico ha levato le tende
anche le foglie hanno tenuto il respiro
e ascoltato il rumore dei carri.
I carri sono milleduecento
e sono una lunga fila in questa spettacolosa pianura.
Barone/Giullare [dal trono di Federico, a Enzo1]
Re re re bello
libero vario e piumato come un uccello
così fortunato
da essere cento volte invidiato,
ti leggo in fronte e vedo
vedo sulla tua fronte l’ombra di tuo fratello il povero Enrico
che troppo ha voluto e è morto in prigione.
Enrico voleva il tesoro di Federico
ma il tesoro non si tocca
dunque rispetto alla sacra persona
se vuoi vivere a lungo,
toccami la gobba
non farti tentare.
Enzo re [Enzo1]
So come allungare la mano
so come ritrarre una mano
so anche misurare il desiderio
al mio bene reale.
Non voglio niente di niente.
Tu sei matto e sei un cavallo azzoppato
guarda che non ti debba arrostire.
Adesso volo a Cremona con le armi addosso
là mi aspetta un dolce bene che voglio sposare.
XIX-XX. Spazio su quattro linee successive
Sul fondo, sotto il portico-navata si accumula il pubblico delle nozze.
Salimbene de Adam
A Cremona. Matrimonio di Enzo re con la nipote dell’amico Ezzelino, quindicenne, di nome Maria Vittoria. In chiesa, il banchetto, balli e canti che seguono e soprattutto una certa violenza, mentre per un momento, strappata dal pozzo della vita da un ricordo, appare tragicamente disamorata e rassegnata Adelasia di Gallura.
Sempre notte. L’incontro tra i fidanzati si estende per tutto il fronte della piazza sulla linea più vicina al pubblico. Gruppi di imperiali e di popolani osservano da lontano.
Il Cantastorie canta la V Canzone: Enzo1 e Maria Vittoria si vanno incontro. Per un tratto lui è scortato dai suoi baroni, lei accompagnata dalle figure nere del Coro delle donne di Federico. Viene dal giardino di S. Stefano. È come una grande attrice ottocentesca e recita questa scena come una sublime parte alfieriana. Lei ed Enzo1 si incontrano al centro, soli, nel peso degli sguardi che li valutano. Enzo1 le prende la mano.
A incrocio, su una traiettoria più interna, parallela a quella di Maria Vittoria, compare ora – camminando a stento – Adelasia di Gallura, prima moglie di Enzo. E intanto, nel boccascena fornito dalla taverna, una terzo momento: Enzo2 e la 1.a donna: scena d’amore in un tempo senza sfarzo. EFFETTO IN MULTIVISIONE 7: sulle facciate del fondo un’“Odigitria” orientale in riquadri ripetuti e con i tratti del volto sempre più grandi e confusi. Maria Vittoria e Enzo si allontanano tornando verso il giardino della chiesa (da cui lei è venuta); in uno spazio laterale e in ombra il frate Bernardo ascolta la confessione e assolve Useppo Toschi pronto per la battaglia ormai vicina.
Cantastorie: La canzone di Adelasia sul mare
A un certo momento della vita
senti che la vita è finita.
Senti che ci saranno ancora
notti e fuochi lontani,
che avrai magari un sole da sciupare
o un rapido amore da buttare
ma che la vita sarà per sempre
ferma e bassa come la voce di un cane [qui Odigitria]
quando è steso vicino al fuoco;
ti accorgi che la vita è una notte d’inverno
o è un lume rosso d’inferno
dentro alla grande pianura.
A un certo momento della vita
senti che la vita è finita
e hai paura. Hai paura di vivere.
Guardi guardi guardi il mare
non si è mai stanchi di guardare
si vorrebbe per sempre andare e il tempo fermare.
Ma quando il cielo scolora
è troppo tardi.
E non c’è nessuno intorno
con cui puoi piangere gridare
a cui ti puoi afferrare.
Soltanto le onde che si rompono
dentro il cuore del giorno.
Adelasia di Gallura
Io sono Adelasia di Gallura
moglie prima, prima moglie di Enzo poi abbandonata;
oggi nel castello sul mare
racconto i miei anni agli anni
racconto i miei dolori ai dolori
piango la mia vita alla vita.
Fulminata da una scomunica
ho il cuore aperto.
Il mare si rompe contro lo scoglio che è duro
qua è il castello dove nessuno viene
in questo spuntone di terra,
se un cavallo corre tutto il mondo intorno rimbomba.
Enzo non è più veduto
Enzo neppure è più ricordato
questo figlio di Federico
chissà dov’è.
Esce Adelasia da destra, raccogliendo la gonna come una cantante d’opera che abbia finito il suo pezzo, seppure malinconico. Insieme: dalla ‘navata’ di fondo scompare il pubblico delle nozze. Via anche il Cantastorie. Dal giardino di S. Stefano torna verso i suoi baroni Enzo1 mostrando alto il fazzoletto di Maria Vittoria.
Enzo re [Enzo2 – scendendo nel grande spazio vuoto]
Qua sto. Io Enzo re, a Cremona
per il giorno e la notte di nozze.
I fuochi, e dentro i fuochi i baroni tedeschi
per il vino cantano cantano la canzone
di Taurel e Falconet
e si insultano e brigano. Rumori di spade.
Poi sono ancora davanti a Parma, ancora una volta
dico, davanti a questa città,
la terra intorno a Parma è tutta bruciata
l’erba tagliata
ogni vacca è munta e ogni asino macellato
non passa un chicco di grano o di meliga neanche per il fiume
questa città deve spremersi e morire.
Useppo Toschi [prima a frate Bernardo – poi da solo]
Io sono Useppo Toschi.
Sono appena uscito da Parma assediata con una piccola invenzione
e ho avuto fortuna,
galoppo verso Bologna
la città è là che si sente si odora si scuote
palpo ormai il suo collo come il collo di un coniglio.
È morbido. I fiati dell’erba scuotono il cielo
la notte si sta smorzando.
Cosa dirò a Bologna?
dico a Bologna che deve alzarsi correre e gridare
precipitarsi procedere impegnarsi
non deve far altro che scendere subito in campo
armi alla mano.
Filippo Ugoni gli è improvvisamente di fianco. Al pergolato della taverna è intanto comparso il vecchio cieco; il suo ragazzo (che ha una ciotola) chiede l’elemosina agli avventori. a Marino. Nessuno ci fa caso. L’ostessa gli dà di nascosto un po’ di pane. Enzo1 è fermo al bivacco dei ‘mendicanti’.
Filippo Ugoni podestà di Bologna [a Useppo Toschi]
Io Filippo Ugoni podestà di Bologna
ascolto Useppo Toschi.
Hai ragione. Guarda:
lancieri cavalieri soldati in gruppo
si muovono già
e seguiranno i nostri cavalli verso Modena.
Fino a Modena.
Attaccheremo i modenesi
per distrarli da Parma e da Enzo re.
Useppo Toschi
Bisogna fermare i modenesi
per bloccare una prima valanga d’acqua e fuoco verso Parma.
L’acqua la fa tracimare Enzo re
bloccando le chiuse sul Taro
e il fuoco è dato dai frombolieri.
Un vero aiuto può essere solo tempestivo.
Sulla piattaforma compare all’improvviso Federico, in piedi, soprappensiero; con lui solo il Barone/giullare.
Federico imperatore
Io Federico imperatore
cavalco per campi e foreste
cavalco fra fiumi tempeste
con un fuoco continuo dentro il cuore.
Cavalco verso la Germania
ma è tutta Italia che chiama
con il suo sprigionato furore
che s’alza come una montagna.
Io Federico cavalco davanti a tutti
cavalco in silenzio, sono solo
come il mio destino.
Barone-giullare [prendendogli la mano]
La tua mano contro tutti
le mani di tutti contro te.
Federico imperatore
Che cosa vuol dire?
questa è un’invenzione verbale.
Barone-giullare
Il significato è evidente:
guai in giro ci saranno per tutti
forse per me e per te
da oriente a occidente.
Il vecchio cieco [avvicinandosi alla piattaforma]
Fortunato signore.
Fermati signore davanti a un signore.
Tanto più fermati se non sei l’imperatore.
La tua calma è grande
sento fin qui i soffi del tuo cuore.
Io sono vecchio e cieco, non li scambio per soffi di vento.
Federico imperatore
Ho fermato il mio cavallo.
Anche i baroni si fermano e aspettano,
alzano la visiera di ferro
hanno tutta la fronte sudata.
Il vecchio cieco
[Tu] sei Federico
dunque tu sei Federico
Federico imperatore maledetto da Dio.
Qua con la spada e le spade a filo
feriscimi uccidimi.
Non aspetto altro da quando ero giovane
e…
Federico imperatore
Alza gli occhi al muso del mio cavallo,
guardami.
Il vecchio cieco
Guardo riguardo
sei una palla di fuoco che rimbalza nell’ombra
sei nero più della fame
bagni di sangue il pane.
Ascolta quello che dico:
sulle ali di un falcone feroce
che era di Enrico
ci sono i miei occhi spenti
per sempre.
Federico imperatore
Il tuo odio è troppo per mancare solo degli occhi,
dimmi chi sei.
Il vecchio cieco
Tuo padre Enrico mi ha accecato
con altri duecento baroni
quando eravamo in Germania.
Tu finisci il giuoco ferendomi alla gola.
Cado qua ombra sola fra l’erba
lontano da
Sicilia Sicilia Sicilia.
Voglio maledirti ancora mentre uccidi.
Federico imperatore
Morto non mi servi
non servi più da vivo, inoltre
mi manca il tempo per allestire una giostra
dei ricordi.
Il vecchio cieco
I tuoi ricordi sono
purulenti come una piaga.
Via il Vecchio cieco con il ragazzo, che lo aiuta, girando attorno alla piattaforma.
Federico imperatore
Rimettiamoci in marcia
verso la montagna. È freddo.
Io Federico so che cosa ricordava quell’uomo.
Con odio ricordava
eppure la vendetta è giusta da compiersi
è giusta da ricordare, sempre.
XXI-XXII. Su tutto lo spazio: Preliminari della Fossalta
Enzo1 all’altezza del bivacco dei cavalieri di Bernardo de’ Rossi si prepara alla battaglia. Nella taverna Enzo2, solo, poggiato a un sostegno del pergolato; Filippo Ugoni e Useppo Toschi si incontrano davanti allo scanno di Salimbene per preparare la loro azione. Federico chiama i Negromanti.
Enzo re [Enzo1]
Io sono Enzo re.
I modenesi avvertono
che il suolo rimbomba, che il suolo si copre di orme
uomini e cavalli si ammassano
muovono in mucchio verso la città di Modena.
Anche noi in marcia.
Filippo Ugoni podestà di Bologna (a Useppo Toschi)
Fermiamoci qua, accampiamoci per la notte
alcuni fanti danno un’occhiata in giro
sono messe all’erta le sentinelle
non sono accesi i fuochi.
Enzo re [Enzo2](a Buoso di Dovara)
Bisogna senz’altro appoggiarsi all’ansa del Panaro.
Aspetteremo alcune ore
l’arrivo delle schiere di Reggio e i rinforzi da Cremona.
Filippo Ugoni (a Useppo Toschi)
Io sono Filippo Ugoni podestà di Bologna
mandiamo i cavalli al pascolo prima della battaglia
le compagnie riposano in ordine
sono all’erta le sentinelle.
Federico imperatore (sulla piattaforma, tra i suoi baroni)
Io sono Federico imperatore
sono ormai fra i monti
nel mio viaggio verso la Germania
ho tristi pensieri e ancora tristi incubi
per le cose della pianura italiana
e della lontana Sicilia.
Faccio sogni di fuoco
con segni e simboli da decifrare.
Mandatemi subito i negromanti.
I tre Negromanti vengono verso la piattaforma avvolgendosi la testa in asciugamani/turbanti; attraversano la piazza davanti a Federico da un capo all’altro e si fermano sotto di lui. Attorno a Federico compare improvvisamente il Coro delle donne – alla taverna entra il Cantastorie.
I tre Negromanti
1 – Appena hai parlato veniamo.
Veniamo da Toledo che è una città lontana.
2 – Voliamo sopra il mare.
1 – Prima che tu parlassi eravamo già pronti
noi negromanti sapevamo quando e come
ci avresti convocato.
3 – Sappiamo anche la ragione
della tua croce, della tua dannazione.
2 – Aspetta.
I Negromanti gettano le sorti: due di loro si impegnano in una acrobatica partita a dadi. Ai polsi portano resti di catene. In fondo, sono pur sempre i cavalieri decapitati. Infine gettano un pugno di monete sul selciato: da qui cresce improvviso lo scroscio della tempesta e delle percussioni; poi fulmini tuoni, voci femminili. Per tutto lo spazio le luci si muovono e tracciano soglie, scie – le impronte dei percorsi e dei gesti che saranno la battaglia. Enzo1 ed Enzo2 osservano immobili – dalle rispettive posizioni.
Salimbene de Adam
Cava tu stesso la conclusione, dicono i tre negromanti a Federico; e aggiungono: una buona conclusione. Poi prima di andare chiedono la ricompensa.
Federico imperatore
Domandate.
I tre negromanti
Ti chiediamo che Enzo re
venga in nostro soccorso
liberando il nostro paese dai nostri nemici.
Federico imperatore
Enzo re è lontano
I tre negromanti
Enzo re è vicino
Enzo re è qua
siede alla tua tavola
mangia il tuo pane
cavalca il tuo cavallo.
Federico imperatore
Può venire con voi
se voi volete giocare.
Enzo re [Enzo2 alla 1.a donna, come angosciato da quello che improvvisamente ricorda]
Ho viaggiato molto lontano
sono stato in una grande città
mi hanno dato armi cavallo molti cavalieri
sono stato tre volte in battaglia
dieci volte in battaglia
ho vinto la guerra.
Ho sposato una donna
ho avuto dieci figli
ho governato il paese
i figli sono cresciuti
io vecchio diventato
quaranta anni sono passati.
Un giorno i negromanti sono tornati
«andiamo a rivedere l’imperatore e l’impero,
ritorniamo alla corte di Federico».
Ho risposto «dopo tanto tempo
Federico e l’impero saranno tutti mutati
troppo tempo è volato
le genti saranno nuove,
dove ritornerei?».
Dicono i negromanti
«noi ci vogliamo tornare
tu devi cavalcare
ci devi accompagnare».
Subito messi in cammino
mesi e mesi abbiamo viaggiato
adesso sono arrivato
niente è cambiato
nemmeno un minuto è passato.
I Negromanti lasciano Federico e si fermano infine al centro del luogo della battaglia. Intorno a loro, come a un perno, si disporranno tutti gli uomini e le donne che dovranno prendervi parte. Ora le ombre si moltiplicano – in questo luogo segnato tutti si cercano e si incontrano. Alla taverna la 1.a donna asciuga con un panno il sudore dalla faccia, dal petto e dalla schiena di Enzo2; poi gli fa indossare una camicia pulita. Ciò mentre Enzo1 torna con i suoi baroni verso la grande piattaforma. Il Cantastorie canta la III Canzone.
Cantastorie: Terza Canzone
Opposizione a opposizione
astuzia contro ragione
l’occhio sinistro è fiamma
il destro è nella storia;
discendente ascendente:
questo è un diagramma
autentico e senza gloria.
Quando la città di legno cresceva
con i chiodi e i rami
puntellati dentro la pianura,
Federico prometteva ai soldati
una rapida vittoria
e intanto mandava in Lombardia
gli elefanti e i ghepardi sulle mura.
La gola è rotta e non può cantare.
Un vento sfrenato il ghiaccio calpesta.
Federico sulla neve ogni mattina
fa cadere una testa.
Questa scena non è complementare:
volano teste di Parmigiani
e teste di Piacentini nella cesta.
Il sangue dappertutto è grumo nero.
Nessuno si dà pensiero
di raccogliere i corpi lasciati per terra.
Federico addestra i falchi a colpire
gli occhi dei nemici
scendendo veloci
davanti alle mura di Parma.
Alla fine del banchetto
ogni osso è ripulito.
Intorno c’è un bosco di rifiuti
in cui la lepre corre.
Voci preghiere restano nell’orecchio.
E la bandiera dell’imperatore
si scuote sulla torre.
XXIII-XXIV. Al campo della Fossalta
Enzo re [Enzo1]
Schiarisce verso Rimini, il cielo si fa giallo
alziamo le insegne e in marcia,
i baroni tedeschi a cavallo.
Federico imperatore
Io sono Federico imperatore
rimando il viaggio in Germania
decido di ritornare giù in Italia
a seguito di notizie messaggi inviti
che volano da Sicilia.
L’Italia è una pentola che bolle,
l’impero non si regge
se non si bada a questo coperchio.
Dal trono sulla piattaforma Federico osserva teso e attento quello che accade lontano nella pianura: vede che vi si muovono le donne del suo seguito e la Carestiamorte. Salimbene deve scrivere – ma è irrequieto e declamerà. Tenere freddo, sempre contro-tempo Filippo Ugoni (come se pensasse un gioco di scacchi); sovreccitato invece Enzo1.
Filippo Ugoni podestà di Bologna
Il marchese Azzo d’Este con i suoi fanti e i mantovani
si schierano con la prima squadra,
a questa uniamo metà della cavalleria del marchese;
nella seconda e terza squadra l’altra metà dei cavalli
i fanti e gli uomini di Porta Piera;
la terza schiera la formiamo con gli uomini delle altre tribù
e ottocento cavalli, quelli che sono già schierati;
la quarta schiera resta sotto il mio occhio
e a tiro di voce, con novecento cavalli
i mille fanti di Bologna e i novecento arcieri a piedi.
Di questa schiera mandiamo i cavalli subito al pascolo
perché non entreranno in battaglia.
Non adesso almeno.
Un Fante [da lontano, gridando]
Al ponte di Sant’Ambrogio ci siamo noi di Oliveto.
I modenesi adesso attaccano in forze
e resistiamo a fatica. Manda un rinforzo.
Enzo re
Le schiere a piedi e i cavalieri sono divisi in tre squadre
due pronte per la battaglia
e una di riserva.
Il sole si accende
oggi è un giorno di fuoco.
Salimbene de Adam
Io racconto la battaglia.
Io racconto la battaglia.
Io racconto la battaglia. Grande battaglia.
L’anno del Signore 1249
era podestà di Genova messer Alberto Malavolta di Bologna.
Il giorno di pentecoste (o forse qualche giorno dopo)
venne alla casa dei Frati Minori
per ascoltarsi la messa; io c’ero là.
Il frate Pentecoste era il sagrista,
un sant’uomo onesto buono
e il frate voleva sonar la campana per riguardo
al podestà che era arrivato.
Ma il podestà disse «Prima ascoltate le nuove che vi porto.
Avete sentito? I bolognesi
il 26 di maggio
hanno preso re Enzo
con grande moltitudine di cremonesi tedeschi modenesi».
E io Salimbene c’ero, io ero là.
Re Enzo, detto anche Enrico,
figlio naturale di Federico imperatore
era uomo di grande coraggio, prode in armi,
sollazzevole quando voleva e componeva canzoni,
un uomo bello, di statura mezzana.
Quando fu fatto prigioniero
aveva la signoria di Reggio Modena Cremona.
I bolognesi lo tennero in carcere
nel palazzo del Comune
per molti anni
fino all’ultimo giorno di sua vita.
Immobilità generale. Cominciano i sussulti degli uomini imprigionati nella battaglia – in alternanza, secondo gli schieramenti, poi tutti nello stesso tempo. Solo Pietro Asinelli, il Barone/Giullare e frate Bernardo percorrono lo spazio – come tentando di prevedere chi si salverà e chi no. Voci femminili cantano brevi frasi musicali (come segnali, o ordini di trombe militari).
Enzo re [Enzo1]
Comincia la battaglia al ponte di Sant’Ambrogio.
I modenesi attaccano quei contadini
perché il ponte resti com’è
noi gli guardiamo le spalle.
Salimbene de Adam
Io sono Salimbene de Adam.
La battaglia è cominciata
bolognesi contro modenesi si azzuffano
vicino al ponte di Sant’Ambrogio.
Ma nei campi e nei prati i cavalli
ancora pascolano,
i baroni tedeschi
hanno la visiera rialzata.
Un cielo di mare e di fuoco
si apre nella pianura,
sono terribili gli uomini
quelli che si guardano negli occhi.
Anche Guidone de Sesso
sbava per il furore che gli monta
ma lui morirà dopo la battaglia
nella fuga precipitosa
in fondo alla cloaca dei lebbrosi di Modena.
Filippo Ugoni [sempre con distacco]
I modenesi premono sul ponte,
giriamo intorno al poggio che è sulla destra
mentre una squadra di fanti va a contrastarli.
Enzo re [Enzo1, come pieno d’ira – eppure felice]
Un giorno pieno di luce in questo maggio.
Sù coraggio a cavallo.
Filippo Ugoni
Mettiamo all’erta i cavalli e i cavalieri
i cavalli sono tutti imbastati.
SCENA IN MULTIVISIONE 8: sulle facciate si corrono incontro schiere speculari di cavalieri di Uccello – arrivando a fondersi e a riunirsi esattamente sul grande arco della loggia che sovrasta Enzo2 e Salimbene.
Salimbene de Adam
Batti e ribatti non si usciva dal ponte.
Sì che erano uomini forti e erano uomini decisi
e uomini con sacchi e candele d’odio addosso
quelli che combattevano
di qua e di là dal ponte.
Battere di lance battere d spade e gridavano morte
o gridavano vittoria
da una parte e dall’altra.
Io sono Salimbene de Adam
racconto la battaglia nella pianura davanti a Modena
filo per filo
goccia per goccia
devo dire che c’ero
a contare i caduti e i feriti da ogni parte,
a segnarli sulle dita con la croce nera. Sì che erano uomini forti.
Giravano i cavalli correndo sulla pianura.
Si scontravano i fanti correndo sulla pianura
i lancieri picchiavano correndo sulla pianura.
Il sole era alto da Bologna a Ferrara
il sole era già alto
su tutta la pianura intorno a Modena.
Con voce forte comanda il podestà:
tutta la cavalleria in battaglia.
Il carroccio è sul campo,
butta fuoco da ogni parte.
Filippo Ugoni [sempre con distacco]
Metà della cavalleria forzi
il nemico sul lato di destra
l’altra resti in attesa e all’erta.
Il carroccio sia portato più avanti.
Enzo re [sempre furente]
Il carroccio è di là, i baroni a cavallo di qua
dunque spacchiamo in due le schiere nemiche,
affondiamo la spada in quell’arca.
Filippo Ugoni
Sono Filippo Ugoni podestà di Bologna.
La zuffa diventa battaglia.
Anche re Enzo è in battaglia
i suoi baroni cavalcano dentro alla battaglia con furore.
Avanti tutti e sia vittoria o morte.
Enzo re
Vittoria o morte.
Carestiamorte e frate Bernardo [dalla sala prigione di Enzo e dal campo]
La schiera a cavallo dei baroni tedeschi e di Enzo re si scontra con la cavalleria bolognese e di Azzo d’Este. Tutto sembra bruciare. Sono le tre del pomeriggio, si scende nel cuore della battaglia. La battaglia è feroce. Tutti i soldati incarogniti si azzannano. I morti. I feriti sono centinaia. In un primo momento Enzo re e i suoi cavalieri premono e addirittura costringono i fanti bolognesi a serrarsi vicino e poi intorno al carroccio. Il carroccio spreme fulmini e fuoco, avvampa come dovesse bruciare, sembra un cono d’inferno o un autentico vulcano. Lo avvolgono le grida e scintille di lame. Infine la pressione è allentata, la mischia si frantuma in cento zuffe feroci, in mille rivoli. La giornata sta passando, il sole cala, comincia la sera; a questo punto Enzo re ha il cavallo ucciso sotto, combatte a piedi, respinge, è respinto poi è sopraffatto da tre fanti di Bologna: Lambertini, Orsi, Buttrigari. Il carroccio di Bologna, quest’arca dell’alleanza del Medio Evo d’Italia, illuminato dalle torce, è salvo.
Con calma, quasi indifferente Filippo Ugoni si rivolge ora al Legato Ubaldini, inaspettatamente comparso dietro di lui, in giaco e reggendo nella destra insieme il cappello cardinalizio e una spada sguainata.
Filippo Ugoni
Il re è prigioniero, il re è prigioniero.
Enzo re è sopraffatto.
È nelle nostre mani.
La battaglia è vinta.
Salimbene de Adam
La battaglia è vinta.
Io racconto questa battaglia
così come è stata raccontata
e tutti l’hanno vista.
I guelfi di Bologna
hanno imprigionato il re
il re forte potente
l’hanno imprigionato e hanno imprigionato un mucchio d’altra gente
gente a piedi e gente a cavallo
tedeschi modenesi
quattrocento erano a cavallo
milleduecento a piedi/
Pietro Asinelli [correndo nel labirinto di uomini]
Milleduecento a piedi.
Re Enzo è prigioniero.
E con lui tanti altri:
Buoso di Dovara che è amico del re,
Ugolino di Persico
Baldovino di Veri
Antolino de l’Andito
Raimondo da Cremona
Armanno da Altefer
Jacopo Confanonerio
Brunale di Santo Felice
Albertino Conversi
Jacobino di Surdi
Enrico di Lainrech
Saurino di Rostam
Pregno di Spir
Corado di Odoguir
Bartolomeo Manera.
Molti sono annegati con le armi e il cavallo
fuggendo verso Modena
come Guido de Sesso.
Sì che era potente dentro a Reggio
’sto Guido
oggi è morto annegato
nella cloaca di Modena.
Carestiamorte
Sul campo di battaglia illuminato da molte torce, molti feriti lamenti di feriti, cavalli che pascolano o sopravvengono spaventati al galoppo.
Sfuma l’EFFETTO MULTIVISIONE 8 e insieme il movimento della battaglia (durante la quale gli uomini – di parte popolana e imperiale, mischiati – sono rimasti fermi, sempre immobili nei loro duelli). Sparisce insieme la Carestiamorte, che ha osservato dall’arco della sala-prigione di Enzo re.
Enzo1, Corado, Marino e Buoso di Dovara si consegnano a Filippo Ugoni. Davanti a lui tutti insieme piantano le spade in terra. Il podestà li porta via (ma senza animosità, solo fermezza) passando per la taverna. Via anche gli ‘imperiali’, parte verso Isolani parte verso la piattaforma di Federico.
Filippo Ugoni [al Cardinale Ubaldini]
La giornata è nostra.
Le squadre sono ricomposte e hanno radunato i cavalli.
Un messo è corso a Bologna per annunciare vittoria.
Contiamo i prigionieri.
Il re nella mia tenda
custodito da cinquanta lancieri.
Fate molta luce intorno.
I popolani ‘bolognesi’ riempiono lo spazio a sinistra, a mano a mano che viene sgomberato dagli ‘imperiali’. All’avvio della battuta di Salimbene 387-406, EFFETTO IN MULTIVISIONE 9: giorno: grande azzurro di cielo diffuso ovunque, con nuvole leggere e veloci.
Salimbene de Adam
Io Salimbene ho visto il re in prigione
e come tutti lo guardano come un leone
come tutti lo guardano con molta paura
che ruggisse o fuggisse ’sto uomo così potente.
Gli guardano gli occhi
con la punta di spade
ma il re appena seduto
è caduto in un sonno profondo.
I cavalieri tedeschi non hanno le armi
stridono con i denti bruciano con gli occhi
maledicono il giorno
pensano già a domani.
Il re nel sonno lamenta;
ho ascoltato il suo lamento
dieci anni più tardi
l’ho sentito uscire da Bologna.
Dicevano allora che il lamento
di Enzo re prigioniero
passava sulla pianura con il vento.
Ma era un vento che macerava.
Via Salimbene e il Cantastorie, insieme ma in direzioni diverse. Un passo prima di uscire Salimbene incontra frate Bernardo, che sembra volergli chiedere qualcosa; ma non si parlano.
XXV-XXVI. Per mare, nella campagna di Napoli e davanti alla taverna
Federico imperatore
Sono Federico imperatore.
Con i baroni tedeschi mi sono imbarcato sul mare
perché Sicilia chiama
e non posso aspettare non voglio tardare.
Il vento di maggio è veloce leggero
ma io soffoco per una speranza amara
come il veleno e per sogni
che scendono tutte le notti e sono di fuoco.
Sulla pianura Enzo re è solo
temo che il suo valore si scontri
con la fortuna che ha girato
come a Vittoria.
Basta un giorno un solo giorno per rovesciare
vita e fortuna.
Vedere è giudicare.
Il capitano della nave
Ecco il golfo di Napoli
dentro cui entriamo per approdare.
Un messo [inginocchiandosi]
Porto la notizia
che Enzo re a Fossalta
è stato vinto in battaglia.
Duecento baroni sono con lui.
Lo portano prigioniero a Bologna.
Federico imperatore
Io sono Federico e sono la legge animata in terra
e non è che faccio o disfaccio ad arbitrio
invece ogni cosa in dettaglio è stata considerata
tutto è stato codificato
perché io rappresento la volontà della legge.
Con il mio codice da poco stilato
sono l’incarnato aspetto della legge.
Così voglio essere e così sono.
Perciò mi propongo di considerare con attenzione
e con molta pazienza
le azioni da svolgere e da compiere
per liberare Enzo.
Naturalmente in fretta.
Barone-Giullare [indicando]
Pier delle Vigne.
Federico imperatore
Pesante come un sacco, uomo;
oppure inutile come una foglia, uomo;
bada e ascolta, ho detto inutile non leggero;
tu hai in corpo il piombo di mille tradimenti,
di angherie stupide, di false azioni,
soprattutto false azioni,
perché come un somaro sei imbastato dei denari del re.
Non ladro ma ribaldo
tre volte più del lecito e senza fantasia.
Che tu sia accecato
e da tutti guardato
nel momento del tuo male.
Un soldato acceca con le mani Pier delle Vigne, abbandonandolo poi nel grande spiazzo vuoto davanti al popolo. Durante la successiva batt. di Federico una specie di Gavroche – che è anche il ragazzo del Vecchio cieco – esce a prenderlo, aiutato poi da uno sconosciuto. Pier delle Vigne è portato via passando per la gente – che per un attimo si apre e subito si richiude come un muro.
Insieme, nella taverna entra Buoso di Dovara; chiede allegramente da bere, come se fosse qui da sempre. Enzo2 si ferma a parlare con lui, poi lo porta con sé nella sala prigione.
Federico imperatore
La crudeltà non è un’alternativa al potere,
è il potere stesso.
La crudeltà non è un’alternativa al potere,
almeno in questo momento.
Non si può giudicare condannare
e vendicarsi nello stesso tempo.
Il grido di Pier delle Vigne non mi ha strappato il cuore
perché era in passato un amico al mio cuore,
il suo grido invece ha calcinato il mio cuore
con il cemento dell’indifferenza.
Andiamo avanti.
Enzo re [Enzo2 a Buoso di Dovara]
Presto verrà un messo
cavalcando o per mare
con lettere strette in mano
che ci farà liberare.
Mio padre ha tre strade davanti agli occhi:
può chiedere per riscatto
può chiedere offrendo alleanza
può chiedere offrendo guerra.
Una di queste è certamente buona.
Federico imperatore
Farò la mia richiesta di riscatto
offrendo ai bolognesi tanto oro
da coprire la cerchia di mura della città.
Questa è un’offerta da re e per un re.
Enzo re [Enzo2, dalla loggia della sala-prigione]
Tutto è dipeso dal fatto
che il cavallo mi è stato ucciso
inoltre mi ero allontanato troppo
Buoso di Dovara
Camminare a piedi sulla pianura
mangiare la polvere della pianura
– quella che striscia bassa –
sono depredato e legato
c’è una lunga fila di prigionieri con noi
sono i cavalieri
e tutti i fanti cremonesi.
È certo una sconfitta notevole,
a fatica potremo sopportarla.
Mentre Buoso di Dovara completa questa battuta nella taverna ormai gremita di gente il Cantastorie comincia la 2.a Canzone. Insieme: l’Arcivescovo di Bologna in rosso e croci entra in scena muovendosi dal limite del sagrato di S. Stefano.
Cantastorie: Seconda Canzone
Quando il re è seduto
il popolo è in piedi
ma accade viceversa
se si lascia correre il re
per i campi e pianure;
allora non ha fine la paura
e la rovina è sicura.
Ne consegue, con semplicità,
ammesso che la cosa sia così,
che questo re comunque e dovunque
va tenuto seduto
(per non dire altrimenti)
perché non cambino i venti.
Per il re noi siamo solo
foraggio frutta melica del suolo
lance da spuntare
spade da affilare
imperiali da contare,
mentre per il papa che cristo l’abbia in gloria
siamo anime da accarezzare
e non siamo sbagiuzza della storia.
Mica che sia migliore. Soltanto è diverso,
perché lui ci vuole salvare dal fumo
dell’inferno.
Per suo uso e consumo.
XXVII-XXVIII. Per la piazza, alla taverna e nella sala-prigione di Enzo re
Continua l’EFFETTO IN MULTIVISIONE 9, cielo azzurro e nuvole – via via svanendo nella notte. Con lentezza l’Arcivescovo di Bologna, in pompa e seguito dai suoi notabili in abiti altrettanto ufficiali arriva al centro della piazza. Intorno l’agitazione del ‘popolo’ in festa per la cattura del re. Via il Cantastorie.
Arcivescovo di Bologna
Io sono l’arcivescovo di Bologna
Bologna è questa
case case case
mura mura mura
torri torri torri.
Sono trecento le torri
piantate su Bologna.
Il cardinal Legato Ubaldini
Sono il cardinal Legato Ubaldini;
con l’arcivescovo, il clero e con il popolo di Bologna
sulla piazza grande
aspettiamo l’arrivo dei prigionieri di Fossalta.
Sono più di mille
alzano un polverone
su tutti c’è re Enzo.
Enzo re [dalla sala-prigione, a Buoso di Dovara accanto a lui]
Guarda le mura di Bologna
alte sulla pianura.
Guarda queste torri come tronchi
di un bosco che va a fuoco;
sembrano una foresta
che a poco a poco
si copre d’ombre in questa
lunga calda giornata d’agosto.
Ascolta le campane di Bologna;
sopra la nostra testa
coprono per intero la pianura.
La città così rossa fa paura.
Noi già da stasera o domattina
saremo come i muli senza biada. [Cresce il brusio]
Però giuro che il nostro imperatore
non ci lascerà marcire
dentro a questo furore.
Ci porterà spada e cavallo per fuggire.
La nostra sorte non è ancora segnata.
C’è polvere di fieno
mentre finisce la giornata.
C’è il vento dei covoni.
C’è odore di sangue
e le nostre insegne nella paglia.
Popolo [prima è un unico grido femminile poi lo schiamazzo di tutti]
Quello è il re, quello è il re.
Guarda, putein, il re.
Alzalo, che guardi.
Quello è il re.
È giovane.
È il re.
È giovane molto.
Dicono che non ha paura in guerra.
Dicono che è come il terremoto e la peste.
Dicono che tenterà di scappare.
Lo sorvegliano in cinquanta.
Un fante
Fate che scappi e noi lo riprendiamo.
Il cardinal Legato Ubaldini [all’Arcivescovo]
Papa Innocenzo vuole
la pace fra Bologna e Modena
e che sia fatta subito
sull’onda di questa vittoria. Splendida.
Non conviene a nessuno prolungare la lotta.
La pace è molto molto più utile in questo momento;
più la pace s’allarga
e più i frutti saranno maggiori.
L’Arcivescovo di Bologna
Spalanchiamo le porte della chiesa.
Frate Enrico e frate Vida
alzino il canto
con le parole e la musica dell’inno
«Christe Deus, Christe meus, Christe rex et domine».
Silenzio: voce femminile solista senza accompagnamento. Il gruppo dell’Arcivescovo osserva un po’ in disparte.
XXIX. Sala-prigione di Enzo re e campo di Federico
Enzo re [a Buoso di Dovara]
Questa prigionia dovrà durare poco
perché non si può sopportare.
Buoso di Dovara
La libertà si conquista sempre con molta violenza
la violenza è forza con astuzia
forza con astuzia, Arrigo, tanta/
Cambio in 0”: Federico imperatore e quel che resta della sua corte itinerante si muovono piano verso l’imboccatura della piazza. Intanto la taverna si è riempita di gente fino a traboccare. Si discute animatamente. L’Arcivescovo attraversa ora avanti e indietro il suo popolo per tutta la sua disposizione. In modo inavvertito esce il suo seguito. All’altezza del vecchio bivacco di Bernardo de’ Rossi Federico è raggiunto da Egidio di Bareram.
Egidio di Bareram [in ginocchio davanti all’imperatore]
Sono Egidio di Bareram
uno dei cavalieri di Enzo re
per un pelo ho scampato la prigionia
riparandomi dentro Modena
dove non ci hanno raggiunti.
Ti racconto la battaglia
perché è stata una battaglia
condotta da Enzo con astuzia
ma è finita in un disastro dopo che per la morte del cavallo
tre fanti hanno sopraffatto il re.
In quel momento la zuffa era terribile in tutta la pianura
i morti dappertutto, anche i feriti,
ognuno aveva il suo nemico in fronte
Enzo re ne aveva tre addosso
i tre erano fanti bolognesi di grande taglia.
Federico imperatore
Accetteranno il riscatto?
Barone/Giullare [facendo il verso a Egidio di Bareram]
Non potevo fare nulla per Enzo
in quel momento
neppure gli altri cavalieri, pochi,
salvati poi dentro Modena.
Aspettiamo rinforzi, aspettiamo i tuoi ordini
per riprendere la battaglia
ordinare le schiere
attaccare Bologna.
Federico imperatore
Accetteranno un riscatto?
Egidio di Bareram
È probabile che molte città della pianura
passino al papa dopo questa sconfitta
se non riusciamo a cancellarla in tempo
a colpi di buona spada.
Federico imperatore
Accetteranno il riscatto?
Barone-Giullare [sempre contro Egidio, con scherno]
La pianura piena di soldati e di molti cavalieri.
E che uomini!
Non un angolo della pianura era tranquillo
ciascuno si batteva per la vita
e gridava gridava.
Egidio di Bareram
Combattevano anche le foglie.
Barone-Giullare [beffardo]
Su e giù i soldati, su e giù i cavalieri
col sole alto sulla fronte e con l’ombra della sera addosso.
I morti dappertutto, i morti in fila
cento cavalli senza cavalieri.
Egidio di Bareram
Enzo re alto su tutti
Enzo re comandava e combatteva.
Il carroccio dei bolognesi quasi preso e distrutto.
Al calar del sole il cavallo di Arrigo è ucciso
lui combatteva a terra
i cavalieri erano dispersi nella pianura
ognuno aveva dieci nemici intorno.
Barone-Giullare [sempre più aspro]
Enzo re fu preso e menato a Bologna.
Una grande battaglia dalla mattina alla sera
anche i cavalli sbavavano.
Egidio di Bareram
Non c’è vergogna in questa sconfitta.
Federico imperatore
Nessuna vergogna
nessun errore di Enzo re in ogni senso,
tu hai descritto il modo della sconfitta che doveva accadere
ma bisogna ripararla in fretta
se non vogliamo che papa Innocenzo tiri la corda
e chiuda il sacco.
Un giusto programma per i prossimi giorni
è quello di sganciare Enzo re da Bologna
promettendo mari e monti se occorre
e impedire che i pesci ghibellini
corrano per paura o per interesse nella rete guelfa.
[Brusio forte alla taverna – ma senza interrompere Federico]
Ci sarà da spendere e da faticare
ma questo fatto è soltanto un anello nella catena italiana
che tira da ogni parte.
E tirando scuote tutto il paese.
Ma l’Italia mi appartiene per diritto di eredità,
come è noto a tutto il mondo.
Federico e il suo seguito riprendono a muoversi verso l’imbocco della piazza – infine scompaiono come in una dissolvenza.
XXX-XXXII. Alla taverna
Nel mucchio della taverna, quasi un tribunale. Rumore di molte voci. Intorno a Enzo ci sono mille persone. Tenere l’eccitazione: si aspettano notizie dal Consiglio di Credenza. Ricordarsi ‘M’; ricordarsi anche di Parigi 1793, agosto, calce viva e fossa comune per i 52 re di Francia dissepolti a St. Denis. L’Arcivescovo considera questa scena stando al suo margine. Pioggia forte.
Arcivescovo di Bologna
Idest parli Salatiele.
Dopo di lui parli Rambertino.
Concluda Pascipovero. Ma badate,
non si arriverà a niente se non stabiliamo
un argomento di discussione e un solo
argomento. Anzi, un limite a questo argomento.
Dobbiamo decidere se dare
una perpetua prigionia a Enzo re
o se chiedere un riscatto
e una prigionia perpetua o a riscatto per gli altri
cavalieri e fanti di Modena Cremona e Reggio presi al ponte
e per i baroni tedeschi.
Questi sono tante scimmie appese ai rami
nelle case bolognesi,
troppi da mantenere e sorvegliare
in ogni angolo della città, di notte e di giorno;
perciò il Consiglio oggi deve deliberare formalmente in merito.
Siede nello stallo di Salimbene. Nella taverna lo spazio è diventato minimo. Scegliere i PP delle facce con le luci: a) Enzo e i suoi compagni nella sala-prigione, in alto b) sotto: la discussione in corso: singole facce, la furia delle donne, il timore di molti per la carestia ecc. Si può temere un linciaggio; questo gruppo di uomini bolle a questo modo. Rumore.
Ricordare che la figura di Salatiele delle rr. 806-810 e le Voci delle rr. 811-814 sono degli attori che sono già stati i cavalieri giustiziati e i Negromanti.
Un popolano
Piove da tre giorni.
Un tempo nero viene dal mare.
Nuvole di parpaglioni volano su Rimini;
negli orti di Rimini
lasciano sopra i cavoli uova grosse come formiche.
Di lì a poco nasceranno le eruche
che guasteranno e mangeranno le foglie.
Sto anno ci sarà carestia.
Un altro popolano
Mo’ ci sarà carestia sì, malgrado la vittoria.
Ci sono gli storni che volano a branchi,
volano in una fila lunga quattro miglia
coprono il cielo che non si vede la notte.
Svolano dalla collina e s’alzano
col primo vento della sera sti uccelli
che chiamano sturuj.
Quando volano non si vede il cielo,
calano sui campi e beccano ogni cosa
e poi volano e poi ritornano e poi volano.
Fanno paura sti uccelli radunati.
Un terzo popolano [1.a donna]
Dopo la neve di quest’inverno, dopo le brinate di marzo
mangeremo i fichi d’Ancona
e la melica insieme ai signori tedeschi.
Anch’io ne ho uno in casa.
Frate Bernardo
La questione è stata proposta esaminata conclusa
dal nostro Consiglio. Il popolo a basso
dovrà confermare o correggere la delibera. 765
La questione in oggetto è di vitale importanza
per la città di Bologna.
Enzo resterà in prigione usque ad mortem,
tale determinazione non potrà essere elusa
da minacce né esplicite né sottintese;
né ad altro iter ci si adegui neppure se cosparso d’oro
o, al contrario, se pesante d’ira
come marmo di Carrara.
E molte minacce e lusinghe e premure ci aspettano.
Bologna stabilisce che Enzo re resta in prigione fino alla morte.
Gli altri, anche i cavalieri tedeschi,
possono riavere la libertà
a partire da oggi a sei mesi
a condizione che il riscatto sia adeguato a ciascuno.
Un terzo popolano [1.a donna]
Bada, sta scendendo il Consiglio.
Movimento di tutti. Spintoni.
Un messo
Fate largo. Ascoltate
le conclusioni appena deliberate.
Salatiele notaio [1˚ Negromante]
Il Consiglio di Credenza ha votato a maggioranza.
Enzo re sarà tenuto in prigionia perpetua
mentre gli altri cavalieri e soldati
potranno ottenere libertà dietro un riscatto adeguato.
Sta a voi ratificare.
Grido della folla; poi, due sole voci – gli altri due Negromanti – una dopo l’altra tra le grida e gli applausi:
Voci
Per Enzo re e per i suoi
la delibera è giusta, l’approviamo.
Salatiele notaio [altro attore]
La decisione così approvata diventa definitiva
né può essere abrogata. La decisione è saggia, non si può
per paura di un falcone liberare un altro falcone.
Enzo re è in gabbia
solo Federico può azzannarci ancora.
Intanto la pianura ha perso il suo cinghiale
Tutti discutono animatamente; ma è come se il sonoro si facesse distante; presente, invece, molto presente, la mente di Enzo.
Marino da Eboli
Io sono Marino da Eboli, podestà di Reggio
e prigioniero.
Per te, in teoria, c’è la prigione a vita.
Enzo re
E ben ci sia finché non cambi la fortuna.
Se cade la spada dalla mano
è regola (ed è giusto)
che qualcuno deve chinarsi a raccoglierla.
Ho voglia delle grandi piste della pianura
e delle sere a Cremona.
Ho voglia d’essere libero.
Invece qua tutte queste torri alte
e tante ombre lunghe.
Improvvisamente torna forte il suono della sala del Consiglio, della taverna e di tutte le case della città. Enzo GRIDA (ma tra la gente sulla piazza vede LUCIA).
Enzo re
Non hanno concluso ormai tutto,
non hanno sottoscritto col voto queste decisioni?
Buoso di Dovara
Gridano perché è arrivato il messo di Federico.
Enzo re (riprendendo la calma)
Cominciamo a contare il tempo
e aspettiamo con meno impazienza.
La giovinezza può passare
in fretta dentro una cella.
Non si vive senza disperazione
e non si vive senza speranza.
Marino da Eboli
La Sicilia è lontana.
Buoso di Dovara
Ascoltate, leggono la lettera di Federico.
Silenzio improvviso – pioggia. Sugli ultimi gradini della grande piattaforma Rolandino, giovane, pieno di furia e di fuoco, ‘con i capelli appiccicati alla testa’; peggio di Saint-Just. Rolandino, distante, legge a tutti la lettera di Federico imperatore; con sé ha solo Filippo Ugoni podestà di Bologna. Già fuori, da una zona in ombra l’Arcivescovo lo valuta attento; nella sala-prigione re Enzo e i suoi compagni in un gioco di dadi, senza convinzione.
Rolandino de’ Passaggeri
Varios eventus esse fortunae diversis legitur in scripturis
ma io sono sicuro che considerate questo
anche nel giorno di una grande fortuna,
vale a dire che la bilancia sale e discende.
Perciò io Federico imperatore
vi offro per il figlio mio carissimo Enzo
tanto oro quanto ne chiedete
e vi offro ogni altro oggetto o tesoro
che Bologna chieda all’imperatore.
Federico ha l’udito lungo e una mano grande
ascolta tutto, può stringere tutto
nella sua mano
pigliando da una parte e dando all’altra.
Salute dunque ai forti bolognesi.
Rolandino reprime un sussulto di ilarità. Segue un’interminabile pausa nella pioggia e nella disperazione di tutti; archi. Poi di colpo è maligno, duro. È un uomo che cambia spesso di umore; è pazzo; brucia; va avanti morendo dalla fatica; quindi, ha tutta la passione del mondo.
Io sono Rolandino de’ Passaggeri e parlo ai miei bolognesi
per fargli considerare l’astuzia molto perfida
e la vanità piena di un falso sorriso di questo dettato.
Federico mentre vuole sembrare splendido e lucente
si fa torbido come il vino
da vero Federico.
Doppia menzogna.
Esplicita e implicita.
Esplicita in quanto non potrà mai radunare tanto oro
quanto sarebbe necessario al riscatto
nemmeno mungendo l’ultimo goccio di latte siciliano;
implicita in quanto Federico
in realtà non vuole dare oro ma fuoco
e allunga e si prodiga con le parole
ma intende riprendere tutto con la mano.
Enzo re è indispensabile all’imperatore
perché nessun altro cavaliere
sa terrorizzare con tanta dolcezza come questo
figlio bastardo di re;
e nessun altro gli dà tanta sicurezza
e gli garantisce fedeltà
come questo bastardo di re.
Dunque Federico mente.
Enzo resterà qua come il popolo
di Bologna ha deliberato e vuole.
I Decapitati-Negromanti
Scrivila tu questa risposta.
Sarà una risposta durissima e breve.
Rolandino de’ Passaggeri
Ecco la nostra risposta.
Voglio dire
– exurgat Deus, et inimicis sui penitus dissipentur –
che terremo ben stretto in mano
questo Enzo re.
Non lo lasceremo partire.
La vittoria al ponte di Sant’Ambrogio
ha tolto grandine e fuoco dalla pianura
adesso anche Modena con meno rabbia
considera una possibilità di pace. E la considera Reggio
e Parma si rassicura.
Uomini
Spediamola questa risposta.
Acclamazioni, pioggia. Infine la gente si stanca ed esce. Coppie, o a tre o a quattro. Poi non ne restano che due, un uomo e una donna, che infine si abbracciano. Via l’Arcivescovo, lento, per un lato secondario. Nella parte bassa della taverna ricompaiono alcuni avventori. Un suonatore di clarinetto (che peraltro non udiamo); in accompagnamento una percussione di legni. Sfuma la luce su Rolandino.
XXXIII-XXXIV. Sala-prigione di Enzo re
Buoso di Dovara
Dopo la risposta dei bolognesi
che hanno respinto l’offerta dell’oro
aspettiamo la seconda mossa di Federico
L’estate è calda
il cielo opaco.
Enzo re
Eppure la piazza è affollata
È giorno di mercato.
Si vede molta strada e molto coppi
da quassù; per il momento
non siamo nelle zilie di Ezzelino.
Marino da Eboli
Ecco finalmente il messo di Federico
con la seconda lettera.
Purtroppo non potrà dare il frutto che speriamo
se questa lettera seconda, come crediamo,
è una lettera che offre soltanto alleanza.
Come una rete da pesca
i ghibellini della pianura hanno cucito le maglie
dell’alleanza e oggi da Imola a Piacenza
il pesce vola in acqua chiara.
[Io sono Marino da Eboli]
Per rompere l’esca ci vuole la mazza.
No, solo le armi possono cantare.
Pietro Asinelli [entrando]
[Io sono Pietro Asinelli]
Anche a questa lettera il popolo di Bologna
con le parole di Rolandino
risponde in modo negativo.
Federico offre
una tregua di dieci anni con la città
e un’alleanza con molti vantaggi.
Enzo re
Il tempo comincia a pesare.
Le settimane cadono come pietre.
Pietre dure. E Modena?
Pietro Asinelli
L’assedio forse si concluderà
con un attacco generale
mentre sono cadute le speranze di pace.
Nella piazza vuota Lucia cammina col suo canestro – e solo perché Enzo re la veda.
Enzo re
Che bella! C’è una ragazza lucida come una mela.
Passa ripassa sulla piazza
guarda sù
ride con tutta la persona.
Pietro Asinelli
È una contadina.
Vengono al mercato
ogni venerdì
con uova e il formaggio che ha in mano.
Enzo re
In tre giorni il messo arriva a Lucera.
Là c’è Federico e l’imperatore sa che non deve aspettare.
I saraceni sono in armi
Federico può partire subito e arrivare quassù
in due settimane e attaccare.
I bolognesi hanno le forze divise
fra Modena e Romagna.
Un favorevole momento.
Marino da Eboli
Dalla Toscana Federico può calare
contando sul numero e la sorpresa;
se spinge la cavalleria in pianura
coi saraceni travolge ogni cosa.
Enzo re
È importante arrivare a questa soluzione.
Non possiamo marcire
Non possiamo più aspettare. Bisogna
avvertire Federico
perché se ha ancora qualche dubbio si decida.
Papa Innocenzo ha molto interesse a illuderlo per un poco
con le parole e con alcune promesse;
non vuole che si muova
fino a quando le nuove alleanze e le nuove trame
non saranno concluse.
E Innocenzo non recederà dal suo proposito
anche se cascano i cieli
e i fiumi si colorano di sangue.
Ora le luci sono tagliate di lato come se venissero per una vetrata e fosse mattina. Un uomo che sembra Pier delle Vigne attraversa la piazza e va alla taverna; forse è lui – forse è solo l’amico del suonatore di clarinetto; fanno una piccola festa. Lontano – un canto di donna.
Pietro Asinelli
Questa notte sono scappati
più di trenta cavalieri fra tedeschi e fanti di Cremona,
per l’esattezza trentasette;
dato che i baroni tedeschi fuggiti sono più di quindici
il comune perde un forte riscatto.
Pattuglie sono uscite all’inseguimento.
Se i fuggitivi prendono verso Modena o verso la Toscana
non avranno scampo.
Li prenderanno o sul fiume o sull’Appennino.
Enzo re
Hai nomi?
Pietro Asinelli [allunga un foglio]
Bada, tu non leggi niente e non vedi niente.
Io ti ho allungato solo ombra e olio.
Tu leggi e hai subito dimenticato.
Enzo re
D’accordo, d’accordo. [legge]
Pietro di Siris
Raul di Naymon
Giovanni di Human
Brettoldo di Lostal
Aramanno di Prennsen
Amaldo di Contenese
Armanno di Altofer
Albertino Conversi/
ah, Marino, anche il tuo scudiero è scappato.
Lontanissima, si sente di nuovo la marcia di Federico. Solo Buoso sembra accorgersene. Nella piazza che piano piano torna a riempirsi riappare Lucia di Viadagola; serpeggia nella gente un’agitazione come per il timore di cattive notizie.
Marino da Eboli
I piccoli pesci sfuggono alla rete e riescono
a scappare fra le maglie strette.
In questo momento per noi
sarebbe molto difficile filare.
Pietro Asinelli
Non passereste perché nessun buco è aperto.
Enzo re [rivolgendosi a Lucia]
Portami nella campagna
dentro la tua cesta
dove c’era il formaggio.
Prestami un cavallo. Ma il cavallo non c’è.
Lo so, non puoi. Ma io correrei con il cavallo.
Di qua a piedi non si può partire.
La pianura odora così grande e liscia
ma io non posso scendere non posso partire
Presto sali tu da me.
Portami un formaggio.
XXXV-XXXIX. Lungo tutta la piazza. Varie stazioni
Notte. Federico accompagnato da una cupa fanfara attraversa con i suoi tutto lo spazio, dalla strettoia di S. Stefano ai cancelli del giardino. È la scena di una Mesnie Hennequin, con la luttuosità e la polvere che possono segnarla. Stazione dopo stazione le sue immagini passano tra la gente angosciata, come in una “entrée funèbre” – nell’incrociarsi dei commenti e delle dichiarazioni (EFFETTO IN MULTIVISIONE 10: le ombre si affollano e coprono le facciate sulla piazza).
L’imperatore è comunque tra gli ultimi – a testa scoperta e in cappa nera; quando parla ha movimenti larghi e pesanti, da vecchio retore. Gli camminano accanto donne in nero e soldati piangenti. Il suo barone/giullare si sposta da un capo all’altro del corteo con cupi passi di danza.
Rolandino de’ Passaggeri reagisce a questa improvvisa presenza dalle scale della piattaforma del trono. Più in basso un gruppo di notabili; ma anche Useppo Toschi e Filippo Ugoni.
Rolandino de’ Passaggeri
Papa Innocenzo stringe fra i denti un nodo scorsoio
e Federico è come un grande campo circondato dal fuoco.
L’imperatore non potrà minacciare più di quanto gli è consentito
e Bologna non è un osso di gallo.
Dicono che Federico sia in marcia.
Le nostre milizie a Modena
poiché l’assedio si sta esaurendo
e per fortuna dovremo presto concludere una pace che ci consoli,
questa parte dell’esercito può essere in fretta unita
alle milizie che sono in Romagna.
Il diritto non è una convenzione che
Useppo Toschi
Ecco le insegne dell’imperatore.
Non saranno certamente notizie di pace.
Dopo l’oro e l’alleanza
questa è una minaccia di guerra.
Filippo Ugoni
Raduniamo subito il Consiglio di Credenza.
Questa lettera è lava
grida con la voce grossa di Federico.
Si sentono ormai gli zoccoli dei saraceni
Useppo Toschi
In Toscana Federico dovrà per forza fermarsi
e prima di passare l’Appennino
dovrà contare molti giorni.
Rolandino de’ Passaggeri
Il pericolo non è per domani
né per i prossimi giorni.
Certamente.
Ma perché tutto concordi e l’ordine delle cose
acquisti un senso preciso per la nostra politica
bisogna che i milanesi prima fermino
poi battano Ezzelino in Lombardia.
Ancora meglio se riusciranno a squartare
questo porco inferocito
e a mettere fine alle sue pazzie.
Federico imperatore [procedendo lentamente o fermandosi]
La figura dell’imperatore tenero
come una pasta di farina è volata via
con l’ombra di Pietro;
Pier della Vigna era alla sinistra del mio cuore
in quanto che alla destra
ci sta Enzo che spero di cavar fuori da Bologna
con il ferro e con il fuoco.
Io Federico imperatore
cavalco con i fanti e con i saraceni in fila
per trovarmi al più presto in Toscana
e di lì ordinate le cose e predisposti gli appoggi
voglio precipitarmi su Bologna.
Intanto volando come uno sparviero
il mio ultimo messaggio sia portato dal più veloce cavaliere
fin dentro a Bologna
per dire a Bologna la mia ira
anzi per portare a Bologna una copia del tizzone d’inferno.
Il mio fuoco.
Non è più tempo di parole ma di atroci sdegni.
Nessuno mi muove a pietà.
Buoso di Dovara [nella sala-prigione con Enzo re e gli altri]
Anch’io credo che siamo arrivati alla fine.
C’è il messo di Federico
e il Consiglio radunato con la campana
legge una lettera di guerra.
Presto la pianura
sarà un campo di battaglia
anche sotto le mura di Bologna
se non si decidono a scambiarci per oro o per persone.
Corado di Solimburgo
Questi bolognesi parlano con la voce di Innocenzo
con la pancia di Innocenzo
con la rabbia di Innocenzo
Marino da Eboli
Però la rabbia di Federico è doppia
e scava scava
A mano a mano che il corteo imperiale procede le figure femminili che ne fanno parte una alla volta si staccano ed entrano nella taverna – ora vuota eccetto che per la 1.a donna, l’ostessa e un avventore (il suonatore di clarinetto, ora in caffetano) – e vi si disperdono impossessandosi degli angoli bui.
Filippo Ugoni [ai piedi della piattaforma di Federico]
Ascoltate con attenzione la lettera dell’imperatore
Federico.
Federico imperatore
Si legge anche nelle scritture
che la fortuna va viene
e che oggi ti butta a terra
e domani ti carica.
Perciò dico a voi bolognesi
se siete astuti e se badate al vostro interesse
pensate che la buona sorte vi può sgusciare di mano
e prima di quel che pensate.
I Lombardi hanno provato in passato
la verità di quel che scrivo
pagando con il sangue e con il ferro e con il fuoco
un giorno di gloria.
Filippo Ugoni
Perciò se le mie parole e gli esempi passati contano qualcosa
lasciate libero Enzo re
e insieme a lui liberate i cavalieri della scorta.
Federico imperatore
Io Federico imperatore
amo mio figlio sopra ogni cosa al mondo.
Se agirete così
otterrete da me ogni vantaggio
vi metterò in cima alle città di Lombardia;
ma guai a voi se per la terza volta
risponderete di no.
Filippo Ugoni
Perché è l’ultima lettera
l’ultima richiesta
l’ultimo invito.
Federico imperatore
Vi piomberò addosso con il mio grande esercito
prenderò la città
la spaccherò dalle fondamenta
e di Bologna si parlerà con pietà o con scherno
per l’eternità.
Nessuno reagisce. Rolandino come stanchissimo sale gli scalini della piattaforma e vi arriva fino in cima (intendo: molto più in alto dell’altra volta che vi ha parlato). Per la piazza si muovono solitarie figure di popolani – in bilico tra il timore delle rappresaglie di Federico e un’ostinata volontà di non piegarsi.
Rolandino de’ Passaggeri
È inutile che ricordi al popolo di Bologna
quale è, ancora una volta, il nostro dovere
e di conseguenza quale deve essere
il senso e il tono della replica.
A una dura minaccia una dura risposta.
A chi ci promette l’inferno
rispondiamo promettendo un inferno.
La guerra è la guerra.
Di fronte alle città della Lega
abbiamo preso un impegno preciso
da sostenere con rigore.
Propongo dunque di rispondere in questo modo
pesando parola su parola:
A Federico imperatore
dai bolognesi.
Merda a chi si appoggia sulla spada
piuttosto che sul diritto.
Ti diciamo che le minacce non ci fanno paura,
le tue parole
per noi volano nel vento,
non siamo canne che basta un soffio a piegarci
non siamo fragili piume
non siamo neppure nebbia che si scioglie al sole.
Abbiamo stabilito di tenere Enzo re in prigione
e lo terremo
se questa decisione ti offende prendi le armi,
ti aspettiamo.
Saremo come leoni
e tu col tuo grande esercito
copri pure di soldati la pianura.
Ma ricordati il proverbio:
anche un piccolo cane
può inguaiare il cinghiale.
Enzo re [con inquietudine – mentre Federico è quasi sotto di lui]
Non ho altre notizie da Federico.
Dato che già due settimane fa era in marcia da Lucera
l’imperatore con l’esercito dovrebbe essere in Toscana
e lì sostare.
Dovrebbe;
ma io vivo in questa incertezza e mi rodo.
Buoso di Dovara
Guido Charelle
Antonio Munsi
Ugo de Caritate
stamattina hanno potuto partire riscattandosi
con due once d’oro a testa.
Mandano i saluti, offrono la mano e la spada
e ti aspettano da Federico.
Federico imperatore
Io Federico ero in Toscana
oggi sono ritornato nelle vaste pianure del Tavoliere
nella provincia della Capitanata.
Questi sono i posti
dove il silenzio è allo stato puro
come l’acqua del mare nel mare più profondo.
Ombra nell’ombra
nel regno si aggirano
i monaci predicatori e i frati minori
portano il veleno del papa ai nemici del regno
e decompongono e rompono simili ai predoni del mare.
Io Federico
ho dovuto rimandare l’attacco contro Bologna
per non impegnarmi in uno scontro frontale
prima che domenicani e fratelli di Francesco
non siano mandati al rogo
o scannati per le strade
sulle scale
nelle piazze
essi propalatori di false notizie
vuoti fiaschi incrinati.
Frate Bernardo [dal cuore della piazza]
Io sono frate Bernardo, francescano
e porto la voce di Francesco in giro per il mondo
e per la prima volta a Bologna.
Là dove c’è la ricchezza cresce la superbia matta
e ci cresce come la mal’erba,
voi non dovete temere la povertà ma la ricchezza.
La povertà è leggera leggera
lascia crescere e riposare
porta lontano,
la ricchezza è pesante come il marmo.
La ricchezza non dà pace ma la croce.
Non temete Federico che è un uomo ricco
quindi infelice,
un sovrano potente
quindi senza pace.
Lui che scanna i frati minori e i domenicani nelle strade nelle piazze come vitelli.
Non temete Federico.
Federico muta la carica di re in un esercizio di caccia
non si adorna di armi e di leggi
ma è circondato sempre da cani e da uccelli gracidanti,
diventato da imperatore cacciatore
ha mutato lo scettro della sua regalità con la lancia
del cacciatore.
Senza pensare a vendicarsi del nemico
abbandona alla caccia le aquile del trionfo.
Enzo re
La povertà è soltanto miseria, frate maledetto;
la ricchezza è vera salute ed è vera potenza.
Federico non baratta.
Federico è il re che viene.
Federico imperatore [via via allontanandosi – poi uscendo]
Spesso quando arrivo alla sera
mi sembra di essere alla fine della vita.
Questa è la mia terra perché ci sono nato;
allevato come un pollo in solitudine
ma qua sono cresciuto.
La Germania è troppo lontana.
Roma è vicina ma puzza d’acqua marcia,
vomita sangue e rospi.
Ogni anno si ricomincia da capo
per ricomporre i nodi che si sciolgono.
Stasera fatemi luce,
voglio i giullari e i saltatori.
Esce – al suo fianco solo il Barone/Giullare che continua nel suo aspro passo di danza. Nella sala-prigione i compagni di Enzo siedono in silenzio intorno al tavolo; resteranno là fino agli “Addii”. La vera II parte, fuori dal flasback, credo cominci da qui. Enzo re scende nella taverna, piena di ombre di donne e di avventori stanchi, e incontra Lucia di Viadagola.
XL-XLI. Nella sala-prigione e sulla piazza
Enzo re [a Lucia]
La verdura che hai portato è fresca e buona.
Peccato che sia l’ultima verdura.
Anch’io vedo dalla finestra le nuvole che vengono da Rimini
segno dell’autunno freddo.
Era buona anche la caccia.
Piena di premura
bella creatura
io ti amo un poco;
se tu mi ami un poco
ti farò salire
ma non di nascosto.
La prende per mano e risale verso la sala-prigione. Salatiele, Pascipovero e Rolandino de’ Passaggeri – che hanno osservato questo incontro:
Salatiele
Ora il re ha buona compagnia.
Il tempo passerà meglio, volerà via.
Pascipovero
Certamente passerà meno adagio per lui
visto che si lamenta
perché Federico non viene.
Rolandino de’ Passaggeri
E come sappiamo non verrà né oggi né domani.
Salatiele
Pari pari è tornato a Lucera
anche forse più giù
proprio quando sembrava vicino ad Arezzo;
aveva sfiorato Roma
strappando le rose coi denti
vale a dire la carne
dei conventi in campagna.
Rolandino de’ Passaggeri
Fa freddo
l’autunno calerà in fretta.
Pascipovero
Così potrai mettere a punto nei mesi della neve
la tua summa e i termini della legge per i servi.
Tutti ne parlano nelle campagne e in città.
Bologna per merito del suo diritto
prima fra tutte avrà il suo libro Paradiso.
Salatiele
Bisognerà accompagnare con un alto commento
questa legge: ogni chiosa
dovrà essere degna di Tullio.
Pascipovero
Meglio dire: del diritto.
Salatiele
Resta aperto il problema
di come reperire i fondi;
o piuttosto una parte dei fondi.
Rolandino de’ Passaggeri
Il banco dei Pepoli anticiperà la somma
insieme ai Bentivoglio, ai Senzanome, Beccari, Foscherari, Ghisilieri
per pagare ai padroni i servi riscattati.
Ci vorranno 60 mila lire bolognesi
per cinquemila schiavi.
Enzo re [dalla sua finestra]
Il grande Rolandino
il grande Salatiele
l’insigne Pascipovero.
Queste camicie del popolo
questi mantelli del popolo
questi cappucci del popolo
pronti a considerare anche la propria ombra.
Camminano con aria sovrana, guardandoli
sembrano già disposti a diventare i nuovi re.
Enzo re e Lucia alla finestra come davanti a una notte piena di luna (EFFETTO IN MULTIVISIONE 11: contro la facciata di S. Stefano). Dalla piazza in ombra un uomo osserva immobile lo spazio appena illuminato della taverna e le finestre di Enzo.
XLII-XLIII. Nella sala-prigione: ‘Scena degli addii’
Lucia di Viadagola
I prigionieri partono in branco
lasciano le case vuote.
I bolognesi respirano.
Oggi sono partiti cinquantotto,
venti erano a cavallo.
Tre li ho incontrati per strada
mentre venivo a Bologna.
Galoppavano che sembravano vento.
Enzo re
Questa finestra
è il mio spettacolo del mondo.
Un gran teatro.
Si vede oltre i muri e dentro la piazza grande,
si sente la pianura.
Lucia di Viadagola
La pianura fa paura.
È una casa di lupi di volpi
è piena di sterpaglia e d’alberi neri
ci sguazzano le vipere
e topi grandi così si avventano.
Sul tetto della capanna
si mettono di sera uccelli
grandi come una chiesa.
Non fanno un suono
restano lì fermi come il demonio.
Enzo re
Forse ti ascoltano dormire.
Corado di Solimburgo [decidendosi all’improvviso]
Scusami, in questo momento
tutto capita prima del dovuto,
fra poco mi devo imbucare e stanotte sparire.
Non posso fare altro.
Perciò col sangue nella mano e il cuore strappato
addio Enzo re.
A domani.
Andrò subito da Federico, gli parlerò a tuo nome
aprirò le finestre e le montagne
per il suo volo veloce.
Allora sentirai sotto la tua finestra
la mia voce chiamare
Enzo e allungarti la spada.
Via Corado di Solimburgo. Subito si alzano Buoso di Dovara e Marino da Eboli.
Enzo re [accorgendosene]
Corado fugge o sta per fuggire.
Spero che riesca perché correrà da Federico
e il conte è una voce buona per sciogliere gli ultimi dubbi
non nel cuore ma nella mente troppo logica dell’imperatore.
Forse Federico in questo periodo
non considera più così urgente un’azione contro Bologna
e dato che le necessità politiche predominano
può lasciarmi ancora per molto tempo
dentro a questo bagno.
Buoso di Dovara
Venga presto Federico.
Ogni giorno tu resti più solo
gli amici calano come cala l’olio nella lampada
e hai poca luce oramai.
Anche noi partiamo,
il riscatto offerto è stato accettato e già consegnato.
Marino torna a Reggio
io correrò da Federico
per aggiungere la mia voce alle altre voci
che parlano in tuo favore.
L’imperatore è attento,
ascolta considera ogni cosa.
Marino da Eboli
Lux lucis. Siamo solo al principio
di vicende importanti
che possono muovere il mondo
o addirittura cambiargli la faccia.
Non possiamo né vogliamo
restare quieti, docili al destino
o rallegrarci soltanto di una libertà
che vale poco se non è bene impegnata.
Conta su di noi in ogni modo,
saremo il tuo respiro
ombra della tua ombra e ala contro ala.
Soffio sulla mano
per ricordarmi l’impegno.
Via. Enzo li segue per un tratto come se volesse nascondersi nei loro pensieri. Lucia, sempre seduta e in silenzio, se lo divora con gli occhi. Tutto veloce: entra Pietro Asinelli molto agitato.
Pietro Asinelli
Addio Enzo re.
Scusami l’agitazione.
Devo partire anch’io, non dico ancora di dover fuggire.
Ma dovrò presto fuggire se resto
e lasciarmi arrestare. Non voglio la prigione come un cerbero
accusato di tradimento. Con le case bruciate.
Sarebbe ingiusto.
Dicono in giro
che ho aiutato Corado di Solimburgo a fuggire
che sono tuo amico e suo amico
che sono sempre in tua compagnia e in sua compagnia
che sono un ghibellino e un falso guelfo.
Non ho più tempo per difendermi
menzogne e ingiurie corrono come saette sulla coda del nemico;
stanotte arriverò fino a Reggio nella casa
di Marino da Eboli
lì aspetto che la tempesta passi da uno a un altro mare,
aspetto la notizia che tu sei libero
per venirti a incontrare.
Conta su Pietro Asinelli
per gli anni che restano.
Enzo re
Corri, se sei braccato e infangato.
Ci rivedremo nella libertà.
Addio.
Si abbracciano. Esce Pietro Asinelli. Enzo va alla finestra; segue questo ultimo compagno ancora più a lungo – ma nell’aria c’è ora un nuovo suono: quello della Carestiamorte (folate e tamburo cupo). Nella taverna ci sono furtivi movimenti della donne; l’ultimo taciturno avventore (in caffetano, un arabo) si dispone al momento della preghiera.
Enzo re
Se potessi anch’io con una canzone
correre a salutare Federico. Se
potessi
chiamare svegliare dall’indifferenza di questi ultimi tempi Federico, se
potessi dirgli la furia la fretta il male che ho
dirgli come i bolognesi mi tengono stretto prigioniero
con le finestre aperte ma non mi danno tregua.
Dirgli che non resisto più a vivere in questa condizione.
Se potessi.
Questa canzone la manderei nelle pianure di Puglia
bionde, nella Capitanata che odora di mare.
La farei correre là
dove il mio cuore sta notte e giorno.
Nella pianura di Puglia in questa stagione
gli uccelli ci passano a branchi.
Si può cacciarli col falcone.
Diadricco di Magonza, che dal pergolato ha ascoltato questa scena e ha visto uno dopo l’altro partirsene i baroni di Enzo, voltando la testa quasi infastidito, parla fra sé.
Diadricco di Magonza
Qua c’è un gran belare di pecore
non più un ruggire di leoni;
i cavalieri uno per uno si pagano il riscatto
e galoppano lontano, ritornano in patria.
Restano i deboli, gli ammalati, i poveri.
I poveri cavalieri nulla hanno e nulla danno,
così restano in trappola come i topi.
Quanto tempo dovrà passare ancora
prima che la giustizia prevalga sull’oro?
È certo che Enzo non è più lo scudo del nostro destino.
XLIV-XLVIII. Nella taverna, ora ‘una Casa di donne’
Esce Diadricco; insieme, dietro a Enzo appare la Carestiamorte, vecchissima/millenaria e vestita di bianco come per un’occasione di nozze. Ma in tutti gli angoli si muovono anche le altre donne: quelle che hanno sempre accompagnato l’imperatore, che erano le sue, e che ora seguono Enzo. Sono donne-‘jinnyyia’ che riammatassano strisce di garza bianca, o bevono di nascosto, o restano semiaddormentate nella cenere. Più discoste – anche Adelasia e Maria Vittoria, le mogli di Enzo, in piedi e senza forza.
La Carestiamorte
Aspettami che vengo.
Io sono la carestia e sono
talvolta anche la morte. O sono
sempre la morte e spesso
o solo a volte la carestia.
Sono stata anche in tua compagnia
per tanti inverni e lunghe stagioni
da Piacenza a Mantova a Ferrara.
Enzo re tu bruciavi e io raccoglievo.
Ti camminavo sulle spalle.
Oggi sei lì come un cane nella sua cuccia
non hai spada né un fuoco,
[Scendendo dalla sala-prigione, nella taverna]
sei ridotto a mormorare qualche canzone
come un vecchio o un giullare in miseria.
Enzo re
Quando correvo tu seminavi?
bene. Non ho ancora smesso di correre
tu non dimenticarti di preparare il cesto.
Ogni stagione ha la sua sventura.
Oggi l’ho io ma solo per un momento,
l’avrai tu presto nel vento
quando col fuoco farò ancora più rossa questa città.
La Carestiamorte
I cavalli mangiano la biada
in Romagna seminano
ballano a Roma;
Federico in Puglia
entrerà presto nella grande ombra
come fa l’aquila sul fianco della montagna.
[Siede nello stallo di Salimbene]
Tu guarda a destra e a sinistra
per odorare l’aria
e guarda in cielo le nuvole sporche
per durare almeno fino a domani.
Non senti che strisciano catene
non vedi che le vecchie s’infiorano
non ti arriva dai campi il grido del lupo?
Questo urlo dice: vieni.
È un lupaccio di forra quello che chiama da lontano
ha pelo grigio
vuol divorare
distrugge tutto nell’attesa.
Il carceriere e il suo aiuto attraversano la piazza. Ma il ragazzo si infila nella taverna e il Carceriere lo perde.
Enzo re
Ti muovi come un ragno
sopra il mio petto.
Dici che non ho né oggi né domani?
Quando l’ho visitato, il Gran Veglio della montagna
dava un’altra risposta
a questa domanda.
La Carestiamorte si alza in piedi: il bianco del suo abito è abbagliante: la sua voce si diffonde ovunque perché le donne del Coro in realtà non sono che una sua moltiplicazione – e per ogni angolo ogni corridoio della casa-prigione passano adesso i loro sussurri.
La Carestiamorte
Ti mostro l’altra guancia
è rossa come il piede del porco
bruciato dal diavolo.
La carestia può soffiare
ma solo la morte può gridare osannare e veramente comandare.
Io adesso sono la morte.
Lo so che non puoi
avvicinarti al mio fuoco,
puoi soltanto aspettare
contare i giorni le ore i minuti
puoi soltanto ascoltare. E sperare.
Un carceriere
Enzo re il Maggior Consiglio ti avverte
che Federico imperatore
è morto a Fiorentino.
Appare come risorgente da un sonno o da un sogno (di anni lontani) la figura-ombra di Adelasia; che avanza appena poi resta lì ferma, rivolta verso Enzo, ai piedi della scala della prigione. Dice, senza emozione:
Adelasia
Anche per te si spengono le luci del destino.
Sei stato un sole, Enzo,
quando mi apparivi come un eroe venuto dal mare.
Mai lo avevo sperato e ti avrei dedicato la vita
ma tu hai strappato in un giorno ogni mia speranza.
Adesso sei ombra nella mia ombra
e i nostri destini, alla fine,
tornano a incatenarci. Ma
senza più voglia d’amore
e con la vita tutta consumata.
La Carestiamorte
Adesso che hai ascoltato
sei condannato.
Lucia di Viadagola
Tuo padre è morto.
Enzo re
È morto all’improvviso e non in guerra,
la mia sorte peggiora e di molto.
Non so ancora dove e come inclinerà la mia vita,
perché dovrei sedere sul trono di Sicilia
invece sono legato e bendato da questi bolognesi.
Lucia di Viadagola
Ci sarà un nuovo imperatore?
Enzo re
Non posso raccogliere la spada
perché non ho spada,
l’imperatore allora avrà la faccia di Corado che è tedesco.
Manfredi sarà mortificato.
Lucia di Viadagola
Mortificato? Manfredi ti salverà?
E Corado ti aiuterà?
Rolandino de’ Passaggeri tra i notabili bolognesi, Filippo Ugoni e un cavaliere. La luce nella scena di Enzo diventa fioca.
Rolandino de’ Passaggeri
Questo è un giorno splendido
per una splendida notizia.
Nessuno in questo momento può balzare sul cavallo dell’impero
e condurlo come un feroce mastino,
nessuno lo terrà più unito
con uguale ferocia e dolcezza
ora che Federico cade a terra.
Uomo imponente
non dava pace ma guerra
e pace nella guerra,
adesso badiamo di custodire come cani Enzo re
perché con lui in prigione
i ghibellini si azzannano
e i guelfi hanno mare libero e vela piena.
Filippo Ugoni
Ci accorderemo in fretta col cardinal Legato Ottaviano
per la Romagna e porteremo a buon fine
la nostra legge sui servi
che non è una legge di spada.
Il ragazzo del Carceriere [da un angolo e col cuore in gola]
Dentro a uno scrigno d’oro
ogni giorno colloco una per una le parole
che serviranno a illustrarla.
Rolandino de’ Passaggeri
Questa pagina nei secoli
sarà la legge vera di Bologna.
Un tale monumento
nessuna tempesta o lamento
lo scalzerà mai.
Io sono del popolo dirà il popolo
e scrivo per il popolo, dirà questo popolo.
Il cavaliere
Liberare uomini
è un compito per uomini
ed è tanto più difficile perché sono uomini;
se si facesse per necessità
tenendo conto solo dell’interesse della città di Bologna
tutto rientrerebbe in una norma solita.
Enzo scende nella taverna, quasi buia. L’ostessa dorme con la testa sul tavolo. L’arabo in caffetano prega; prima in piedi, poi in ginocchio, poi con la fronte a terra. Enzo osserva questi momenti, poi esce nella piazza: stanotte la città è un silenzioso bosco notturno (EFFETTO IN MULTIVISIONE 12); per una caccia notturna, il rovescio di quella grande, verde, col falcone, con cui si presentò suo padre.
Lucia e le donne-‘jinnyyia’ sono scomparse. Nella taverna la 1.a donna, sola a un tavolo, si sta truccando. A un altro l’ostessa e l’arabo.
La Carestiamorte
La prima carta è giuocata.
Tu hai ascoltato e saputo.
Cattiva la notizia.
La tua prospettiva è ribaltata.
Enzo re
La prospettiva?
La Carestiamorte
Speranza di un futuro diverso voglio dire,
di altra considerazione
o di una pronta conclusione.
Adesso sei sabbia di mare.
Enzo re
Sabbia di mare?
La Carestiamorte
Quella sabbia che si lascia filtrare
attraverso le dita,
che cade nel mare
e così scompare.
Enzo re
Forse ho ancora una fortuna da aspettare.
Forse posso ancora servire
come colla di pesce
per l’impero.
Quando tutto si romperà
e ciascuno a Magonza o a Palermo tirerà il filo
e cercheranno un buon navigatore.
Io voglio comandare
io ho solo voglia di vivere.
Solo io potrò tenere unito l’impero
solo io potrò trattare col papa.
Con questo papa.
La Carestiamorte [muovendosi per la taverna]
L’impero ce l’ha Corado
Manfredi è stato buttato in strada
il papa ha i denti lunghi
e divora tutto il braccio.
Il suo odio è più forte di ogni altro giudizio
e la sua fame è una fame di morte.
L’impero ce l’ha ormai Corado
Manfredi è buttato sulla strada.
Su tutti c’è il pipistrello del papa.
Enzo re
L’impero ce l’ha Corado
ma forse per un momento;
Manfredi è sulla strada
ma forse per un momento.
Manfredi mi potrà ancora riscattare.
La 1. donna, che ora indossa un abito da sera e regge una sciarpa di piume, si avvicina a Enzo perché la aiuti a chiudere il fermaglio di un gioiello. Poi esce, trattenendosi con un ultimo sguardo. Insieme, l’arabo – senza che ci sia possibile udirlo – comincia a esporre all’ostessa le sue remote ragioni. Ma Enzo non cerca altro che la Carestiamorte.
La Carestiamorte
Il papa trionfa.
Il papa distribuisce scontento e paura
usando la sua guardia pretoriana
formata dagli ordini dei mendicanti.
Vedo il sorriso di Manfredi
riempirsi di un’ombra disperata.
Vedo Corado scendere dalla Germania e prendere tutte le chiavi del regno
vedo il suo pugno alzarsi
Manfredi come un bracco è relegato e inseguito
vedo la morte improvvisa di Corado
in questo futuro-presente pieno di cose tremende.
Enzo re
È un’onda alta
che non lascia respiro
non fa nemmeno paura.
Fa solo morire.
Forse è passato anche il tempo d’aspettare.
Viene aperto il mercato, ricavato dalla base della piattaforma di Federico; sopra c’è ora un trono-trofeo. Come nell’ultima trascinata ora della notte – quando si sente vicino il giorno, si alzano i bandoni delle fiancate: si vedono luci e merce. Piano piano la piazza si riempie di gente.
La Carestiamorte
Senti la città di Bologna come si muove e prospera?
Il suo polmone si alza s’abbassa
respira come un otre
si gonfia risuona
è sana.
Esprime una grande audacia che la porta a molte conclusioni.
Enzo re
Sento questo respiro come un rumore opprimente.
Ma laggiù dove fiorisce il limone?
nella terra di Sicilia?
parlami della Sicilia, dimmi adesso chi è re.
La Carestiamorte
Laggiù in Sicilia
c’è solo la morte dei re.
Enzo re [ridendo]
Ci sarà anche la mia?
La Carestiamorte
Non sei cinghiale da caccia nascosto nella macchia.
Puoi contare tutti i giorni
nella polvere e nella noia.
Enzo re
Quanti re sono morti?
La Carestiamorte [risalendo verso la sala-prigione]
Corado è morto.
Morto anche Manfredi.
Morto Corradino
Enzo re
Tutto è finito
la montagna è fredda
volo nell’ombra
ma senza più le ali.
A un tavolo si riempie un bicchiere. Vicino, ‘l’arabo’ è diventato insistente, ma l’ostessa ride. Entra un uomo che sembra Bernardo de’ Rossi, con un cappotto militare quasi uguale a quello; forse è lui. Con un gesto di gergo gli chiede da bere. Si guardano. Si osservano bene. Devono osservarsi bene – c’è poco tempo. Enzo gli dà il suo bicchiere. Ancora si guardano. C’è qui una questione di pietà. Ma c’è pochissimo tempo. E non verrà. Ciò però non significa che questo passaggio non debba essere tentato. Poi ‘Bernardo’ torna rapido nel movimento dei passanti; due compagni lo aspettano. Enzo li vede allontanarsi insieme – fianco a fianco con un passo molto deciso. Brusio crescente della città. Entra una guardia (è sempre il Vecchio della Montagna – o anche il Vecchio cieco). Insieme, da un’altra parte torna il Cantastorie.
La guardia
Una donna con due figli, di nome Caterina
che si dice vedova di Jacopo del Carretto
chiede di visitarti e il Consiglio l’ha permesso.
Enzo re
È mia sorella.
Si incontrano, si abbracciano stretti. Caterina lo accarezza.
Enzo re
Mi vedi prigioniero e non puoi prendere coraggio. Eppure
tu così sola per una vita tanto diversa,
tu povera adesso
hai gli occhi ancora fieri.
Caterina
La povertà è sfortuna
ma la sfortuna aumenta il coraggio
e annega la paura.
Tu sei prigioniero non soltanto povero
e ti occorre più conforto di me. Sei stanco,
sei tirato da una angoscia che ti ferisce
la faccia e io la vedo.
Enzo re
È l’impazienza
una terribile impazienza
un ragno
che si addormenta adagio mordendo.
Questa impazienza la porto sulle spalle.
Io ho solo i giorni davanti.
Conversano. Stranamente, Enzo riesce a farla sorridere; si abbracciano ancora. Poi escono nella piazza e si avviano parlando verso la salita di S. Stefano; si confondono tra i passanti. Appare alla finestra della sala-prigione la Carestiamorte.
La Carestiamorte
Un quadro di famiglia
all’ultima illustrazione.
Poi a voi resterà il fiato grosso
giorno per giorno
appena sufficiente per l’invecchiamento.
Ci sarà ancora qualche piccola soddisfazione
forse nel ventre di una donna
o in una canzone scritta
o nell’ultimo tramonto. Sarà un momento.
Ma niente da raccogliere
che non sia vento.
Cantastorie: Sesta Canzone
Battaglia di forze contrapposte.
Odio violenza e peste.
Gente che scaglia frecce.
Cavalli e non cavalieri, grandi baroni in sella.
Lance e spade dentro a questa guerra.
Muoiono da ogni parte nella battaglia.
Il sangue, il sangue bagna l’acqua verde.
C’è un guerriero potente
ha la visiera abbassata
corre su un baio, ha la spada sguainata.
I fanti bolognesi sono gente dura.
La guerra non li può fermare.
Nemmeno il figlio dell’imperatore
può stravolgere la fortuna.
Nemmeno un figlio del re della luna.
Se oggi non si vince la battaglia
saranno giorni magri per tutti.
Penderanno gli uomini dai rami
e saranno abbattute con vergogna
per intero le mura di Bologna.
Verrà la carestia, verrà la fame.
Non si può dare a un cane
la sorte dei bolognesi
se non vincono a Fossalta.
Ma ecco lo scontro sopra l’erba alta.
Traffico urbano, folla, rumori della città. Molte vite. Per il sagrato passano i notabili bolognesi, senza donne, ma sempre piuttosto allegri. Attorno alla piattaforma/Montagnola gente che va viene compera discute ecc.; una giornata come tante. (EFFETTO IN MULTIVISIONE 13: cancelli che s’aprono, dorsi di colline, un campo di grano con papaveri e cielo chiaro). Sull’angolo del pergolato continua l’amichevole discussione tra l’ostessa e il suo inquieto avventore (02h.05’.35”).
Informazioni aggiuntive
- Tipologia di testo: testi teatrali
- Editore: Pendragon
- Anno di pubblicazione: 1999