Vladimir Komarov
Ci siamo entrati finalmente nel Duemila, dopo tanto parlare e parlare e immaginare. Ed erano soprattutto i vecchi che arzigogolavano intorno, tanto che sembrava di essere, tutti quanti, su una nave come il Titanic, con l’iceberg enorme che arrivava annunciando una tempesta di pensieri sicuri, di abitudini certe, di buone tagliatelle della nonna, di passeggiate sotto la luna sulla spiaggia del mare. Insomma, sembrava di entrare in una galleria scura scura, dentro alla quale non c’erano orizzonti. I giovani per fortuna se ne fregavano, e pensavano a vivere in tutti i modi; perché sentivano, senza paura, che non sarebbe arrivato niente di troppo nuovo o che non fosse già in qualche modo preveduto, aspettato. E adesso che ci siamo arrivati, tutti tocchiamo con le mani e coi piedi e con gli occhi che il mondo non è naufragato né si è rovesciato. Dopo la solita frenesia dei fuochi artificiali, dei tappi che saltavano, degli abbracci e dei baci – e dei soliti ubriachi che gridano – gli uomini hanno ancora una volta mostrato d’avere la memoria corta. Hanno confermato che è facile dimenticare, anche le cose veramente importanti e che possono, o potrebbero, fare male e costringere a faticose riflessioni quotidiane sul proprio destino, sul futuro di questa nostra Terra che sempre gira e rigira ed è di continuo smazzuolata dalle nostre avide mani. La Terra che sta lì, vicino al Sole e alla Luna, con Marte Giove Venere vicini; vale a dire, luoghi dell’infinito ma ormai a noi così vicini, dove l’uomo entrerà di corsa e a frotte nei primi secoli di questo terzo millennio (i nostri lontani fratelli); dove, adagio, quasi in punta di piedi, stanno arrivando giorno dopo giorno, anche i giovanissimi di oggi; voi, che state leggendo. Ma intanto anch’io, aprendo la porta del secolo nuovo, vorrei per me compiere un atto giusto e suggerirlo a un amico, a qualche amico, questo atto giusto di un buon appuntamento. Avendo, per necessità e dovere, scaraventato fuori di bordo una massa di vecchi appunti, vecchie carte, vecchi ricordi, vecchie memorie. E trattenendo in testa, in cuore, davanti agli occhi solo l’essenziale, che si stringe nella mano. Fra questo poco che conta, dico che porto con me all’inizio del mio viaggio nel secolo nuovo, Vladimir Komarov, astronauta sovietico. Il primo uomo caduto nel combattimento in cielo non per la conquista ma per la conoscenza dello spazio (nel mese di aprile dell’anno 1967). Scrissero allora: “Il rientro nell’atmosfera è avvenuto fra le 5 e le 6 di lunedì mattina… Nel rientro i retrorazzi hanno funzionato per quanto riguarda la frenatura, ma non per quanto riguarda la stabilizzazione… I bulloni del paracadute saltano… ma Komarov non ha sentito il brusco sobbalzo. Era la fine… stava precipitando da 7000 metri alla velocità di 450 chilometri all’ora… La cosa più agghiacciante è stato che Vladimir è rimasto fino all’ultimo cosciente della sua fine, e fino all’ultimo ha comunicato per radio con il cosmodromo di Baykonur”. Un giornalista sovietico ha scritto: “Gli ultimi rapporti di Komarov ricevuti a terra sono stati esempi sconvolgenti di padronanza di sé, di calma, di forza morale”. Ecco, cercando di mantenere il contatto reale con le umane vicende vivificanti ed esaltanti (che ci aiutano a capire dentro a mille errori); ecco con chi vorrei avviarmi sull’autostrada del Duemila, avendo accanto questo uomo aviatore che, a diciotto anni scriveva: “La vita dell’uomo è così breve, riuscirò a fare qualcosa di utile? Ne avrò il tempo?”. Il tempo speso bene, è un tempo che dura. E lascia un segno.
Informazioni aggiuntive
- Tipologia di testo: racconti
- Testata: Agenda Smemoranda
- Anno di pubblicazione: 2000