Nel cuore di Bologna ecco i suoni di antiche pietre

Sono le chiese la parte più bella di Bologna. Chiese annidate e strette tra le case ma esplodenti dritte e altere verso il cielo quando si guardano da sotto in su così come Dante Alighieri guardava la torre Garisenda. Non sono le piazze la parte più bella di Bologna, in quanto poi la città di vere piazze ne ha una sola, piantata nel mezzo, e questa esibisce: Piazza Maggiore.

Non una grande piazza, non una bellissima piazza, ma una vera piazza bolognese; vale a dire, più che stretta, circondata a difesa da quattro edifici calibrati con un occhio sovrano; e da una chiesa dedicata a San Petronio patrono. Eppure è una piazza in cui i rumori planano senza disperdersi e senza confondersi, anzi, persistono vibrando in sottotono in un modo che dà il senso di una foresta appena toccata dal vento. Quindi direi che il primo rapporto da cercare e da stabilire è con questo suono acquattato tra le pietre e che le pietre poi tornano a distribuire con sapiente armonia. Per carpire tali suoni e adattarsi all’ascolto si può anche indugiare, magari seduti sui gradini del sagrato. Lì, un tempo, liberamente, si macellavano all’aperto e direttamente si vendevano agnelli, pecore, vitelli.

L’altro collegamento da cogliere, senza impazienza, io credo debba essere con la luce. Tutta tenuta non su l’esplosione piena, cioè di aria che freme e di sole pieno e forte; ma uno smorzarsi lento, un tenuo abbuiarsi infradiciando il sole; un cominciare a ritrarsi, a trattenere quasi il respiro, per aspettare la sera. In quel momento o in quei momenti in cui il sole va a fuoco la piazza si muove adagio, come risentita da quel calore acceso ma morbidissimo, e allora diventa uno scenario eccezionale. In modo esemplare, così, l’ha celebrata Carducci con un inizio di ode barbare travolgente.

Goduti aria e suoni, io mi infilerei subito dopo in San Petronio, guardando bene a destra e a sinistra, perché c’è tanta storia in marmo là dentro, da riscontrare con gli occhi e con la memoria; specie la cappella dei Re Magi.

Fuoriuscendo, e fatto il pieno con questa bevuta culturale, l’onesto e giusto turista può muoversi in giro, imboccando subito i portici. Il portico del Pavaglione, per esempio, che porta ad altre belle strade, ad antichi palazzi. O la vicina via D’Azeglio, per esempio, che si cammina tutta a piedi come in salotto. Vetrine e vetrine di abiti, scarpe, maglie, sciarpe; oggetti d’oro. Alcuni antiquari. Alcune librerie. Ma se è domenica c’è solo da guardare ma non toccare, perché tutto è chiuso. Ah, c’è uno che vende fiori. Ci sono anche due fast-food, alcuni smilzi baretti che consento una rapida seduta. Ma Bologna è cara arrabbiata, ed è città che alza e abbassa le serrande, quando lavora, con spietata esattezza. Con rigore d’orario.

La verità è che a tutt’oggi Bologna non è ancora città turistica, per fortuna. Anche se, per sfortuna, comincia a diventarlo. Fino ad ora capitavano solo gli intendenti, rigorosi nell’osservare e nel camminare. Adesso i pullman si ammassano in piazza scaricando viandanti frastornati che perlustrano rapidi in attesa di poter sciamare per mangiare. Ma la cucina bolognese? ma il buonumore bolognese? ma l’opulenza bolognese? Badi l’onesto e corretto turista che Bologna, sul serio, è una città drammatica e affatto folcloristica e periferica. Da prendere con le molle. E per conoscerla, anche poco, ci vuole più di una giornata. I suoi benefici vanno guadagnati con la pazienza. Perché, se altrove si può anche andare per vedere questo e quello, a Bologna si può venire solo per vedere Bologna.

 

l’Unità, giovedì 21 maggio 1987

Informazioni aggiuntive

  • Tipologia di testo: articoli su quotidiani, settimanali e mensili
  • Testata: l’Unità
  • Anno di pubblicazione: giovedì 21 maggio 1987
Letto 1578 volte