Bologna maledetta, Italia maledetta…

Bologna è nell’occhio del tifone. Bologna è nell’occhio di un brutto tifone. Ma anche l’Italia è dentro a un continuo ciclone che la stravolge e la contorce; allora le miserie di Bologna, queste sue lunghe giornate coperte di sangue, corrispondono alla miseria tragica di questa Italia discinta e involgarita; imbarbarita. Ma poiché pochi parlano sul serio delle miserie reali e attuali d’Italia, pochi parlano anche delle miserie, autentiche drammatiche miserie, di Bologna. Città che sembra oggi senza testa e senza cuore. Inorgoglita perennemente dalle statisticucce di un benessere perverso collegato, ad esempio, a donne motori o allo sciabordare di un terziario che sottrae ogni tensione alla speranza sociale per rifugiarsi fra i muri dei rendiconti bancari, questa città di grandi memorie storiche ma di un presente mortificato, non ha più neanche il tempo o neanche la voglia di guardarsi la punta delle scarpe.

Vediamo, con la onesta tensione a capire di un cittadino non fuorviato dalle concioni sottili dei pensatori di ogni ora e di ogni momento. Si leggono tante parole, si dicono tante parole, si scrivono tante parole, si vedono tante parole. E poi convegni, incontri, tavole rotonde, seminari, davvero un regno di Bengodi di problematiche verbali addentate in ogni occasione e proposte in ogni condizione; tanto che saremmo il paese dei miracoli reali e sociali se soltanto un poco di questo calderone di buoni propositi e di buone curiosità verbali traboccasse nelle risoluzioni politiche e poi nel corpo della nostra società.

Ma tutto ciò attiene a una parte di questa Italia, attualmente sui manti innevati delle nostre superbe montagne. Fuori da beghe e miserie; fuori da tristi pensieri. Gonfia di sé e del proprio denaro.

L’altra parte d’Italia, e quantificando la più numerosa, sanguina come un rinnovato derelitto Cristo sulla croce. Lì si spara, si uccide, si massacra, si sequestra, si fugge, ci si rintana, si muore in tetra solitudine, si vegeta in attesa senza più alcuna speranza, ci si droga, si assalta, si stupra, ci si danna.

Un inferno di insolvenze, di insolenze, di indifferenze, di inadempienze.

Ma questa, sia chiaro, non è la parte infetta, la parte criminale della società; mente l’altra che parla, che divaga, che viaggia e stabilisce non è la parte buona e casta, non è la parte viva. Vero è che nel corpo infetto e straziato di questo nostro paese immobile da sempre e con la sola ferita feroce di una industrializzazione selvaggia e avida; massacrato dalla violenza delle armi e dalla inesauribile retorica delle parole; il sangue è sempre nella parte e dalla parte dell’Italia insultata, ignorata e ferita. Nella parte dei poveri, dei miseri, degli emarginati, dei drogati, degli infermi, dei vecchi di quanti – da questa società che non si guarda altro che allo specchio per ammirarsi agghindata – non hanno sollievi determinanti, consolazione concrete che diano qualche luce alla speranza.

A Bologna adesso si muore ogni giorno, si spara ogni giorno. C’è sangue ogni giorno per terra. C’è una violenza costante e implacabile; rapinatori che assassinano, cosche che si autoelidono e si massacrano, assalti cupi e misteriosi che lasciano vittime inermi morte o sanguinanti. La realtà di ogni giorno non sembra più controllabile, ed è come se il tessuto sociale, il ferreo tessuto sociale, di questa comunità, si fosse definitivamente sbrindellato. E lì giacesse per terra senza più tenuta. La cosa certa sembra essere, intanto, che ai mali reali non serve più venire incontro con il mezzo subdolo e quasi ricattatorio dell’elargizione, dell’obolo rapido e diretto, della promessa sorridente, degli auspici retorici e pelosi della pubblica amministrazione. Basta guardarsi in giro in Italia; alle prime piogge di dicembre – sempre un poco violente e aspre – terreni franano, montagne smottano, strade si squarciano, fiumi straripano, torri precipitano, vecchi palazzi si incrinano; tutti i guasti di una società maledettamente angariata e obsoleta saltano fuori in mezzo al cerone del trionfalismo più vieto.

E tale pare a me oggi la città di Bologna, lì collocata sulla pianura padana dopo le giogaie di un Appennino senza requie. Una città che non si cerca più, che non si chiama più, una città che non decide più ma è incerta e rimanda; che dice e non fa, che promette e inizia a fare e non conclude; una città che nella gestione faticosa ma irrimandabile del quotidiano sembra sempre più senza coraggio e sempre più spenta. Ci sono stati nomadi uccisi, vilmente assassinati, in luoghi squallidi, fangosi, senza cessi, senza acqua, senza luce, periferici, cimiteriali; ebbene sì ebbero alcune pronte promesse e poi quasi nulla è stato fatto, tanto da indurre un prefetto di uno Stato generalmente inadempiente e indifferente a rimbrottare l’amministrazione cittadina con asprezza, sollecitandola ad agire.

Eguale discorso potrebbe essere riferito agli immigrati, sballottati qua e là, senza principio e senza fine; pacchi postali allo sbando e in franchigia. Ci sono rimpalli di competenze, richiami continui alle mancanze dello Stato e così via; ma non sarebbe il caso di ricominciare a mettere le mani nel fango di casa propria per avviare finalmente la sistemazione dei problemi necessari e urgenti? Urgentissimi? Che non occorre il supporto di Marx o di Heidegger per riconoscere e allineare: la casa, la casa, la casa: ai giovani, agli anziani, agli immigrati. E poi la droga: lo spaccio, il consumo, la malattia, le cosche.

Bologna è una città assediata, non da oggi; oggi la drammaticità ha toccato il fondo. Assediata dalle residenze mafiose, dai traffici inerenti, dalle correlate violenze. Ha subito modificazioni, in negativo, stravolgenti e adesso boccheggiando chiede aiuto. Ma altro aiuto non può ricevere se non da se stessa. Questi sono giorni cruciali, di dolore e di mortificazione. Non vorrei che una mattina, o una sera, la città si ritrovasse sconvolta ancora una volta, ma non più all’improvviso, come nei giorni del marzo 1977.

Informazioni aggiuntive

  • Tipologia di testo: articoli su quotidiani, settimanali e mensili
  • Testata: l’Unità
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